di Filippo Vagli
Il termine Olismo deriva dalla parola greca Olos
che significa TUTTO.
Una
visione olistica è quindi una visione unitaria dove le cose e gli eventi che
sembrano scollegati fra loro sono invece tenuti insieme da un unico filo
conduttore
La
storia è colma di popoli e culture che procedevano in questa direzione e le
corrispondenze analogiche tra uomo e universo che lo circonda erano alla base
di tutto.
Questi
popoli antichissimi avevano capito che ad esempio tra uomo e albero c’erano
affinità importanti. Le radici dell’albero sono come i nostri piedi e le nostre
gambe; e forse non si parla di tronco sia per l’albero che per il busto
dell’uomo? Non si sente forse dire che i nostri piedi rappresentano le nostre
radici? La natura e l’uomo quindi come ci insegnano queste immagini sono fatte
delle stesse sostanze, hanno immagini sovrapponibili e sono legate intensamente
da qualcosa. Oppure pensiamo alla similitudine fra la chioma dell’albero e la
chioma dell’uomo (capelli). La perdita dei capelli autunnali è quindi un
processo naturale come avviene per l’albero con le foglie. L’albero è costretto
a farlo perché essendoci poco sole, deve convogliare tutta l’energia nelle
radici al fine della sopravvivenza e quindi non avendo energia necessaria da
mandare verso l’alto, le foglie cadono.
Per
l’uomo d’oggi invece la natura è diventata quasi nemica, un qualcosa da
governare e da sfruttare, da mettere a reddito con le colture intensive e lo
sfruttamento del mondo animale. Un tempo l’animale conviveva con l’uomo; vi era
l’aia, l’uomo dormiva nella stalla insieme alle sue bestie, mentre la nuova era
ci ha restituito un rapporto completamente diverso con mondo animale e
vegetale, dove tutto si è scollato, scollegato, dove l’uomo ha assunto una
posizione di dominio al fine di regnare sfruttando questi altri mondi con cui
per migliaia di anni aveva convissuto in maniera pacifica e armonica.
La visione
olistica, naturale nelle culture più antiche, è stata fortemente messa in
discussione da filosofie quali il positivismo, il meccanicismo, il razionalismo
che, negli anni 1500 – 1600, hanno fatto sì che si perdesse questa visione
d’insieme delle cose che aveva caratterizzato invece fino a quel punto la
storia dell’uomo. Hanno sganciato una cosa dall’altra per poter arrivare a
definirla sempre meglio, per poterla studiare e analizzarla fino in fondo; un
po’ come avviene con il microscopio, strumento che scende sempre più nel
particolare ma nel contempo fa si che si perda la visione d’insieme.
Inoltre,
l’illuminismo e il positivismo, attraverso il pensiero scientifico, hanno fatto
sì che si andasse verso il positivismo anche per la salute e nel secolo scorso,
con l’affermazione della chimica e della scienza farmacologia si avrà il grande
salto di qualità, con studi scientifici di grande ampiezza che porteranno cure
specifiche per le varie patologie. A partire dalla fine della seconda guerra
mondiale si morirà molto meno grazie a penicilline, antibiotici, vaccini, che
hanno notevolmente allungato la durata della vita portando il pensiero medico
scientifico ad essere uno schiacciasassi.
La scienza quindi parte al galoppo e una sua specifica
branca, la fisica, che si era formata ai tempi di Newton (fisica meccanica) era
ancora ancorata ai suoi pilastri principali:
- Spazio / Tempo,
- Oggettività (un paio di occhiali è un paio
di occhiali. Stop, non può essere nient’altro, è provato scientificamente,
come si suol dire)
- Causa / Effetto: altro presupposto della
ricerca scientifica. Vale a dire il poter sempre dimostrare fino a prova
contraria che un effetto avviene sempre in relazione ad una determinata
causa. E’ corretto, intendiamoci; non è un concetto sbagliato. E’ però una
concezione che se portata all’estremo rischia di non tenere più conto
dell’unicità dell’individuo e quindi della sua storia, del suo terreno, e
di tutto ciò che lo rende unico, anche nella malattia.
Mentre per una visione olistica e psicosomatica non
può esserci sovrapponibilità tra una persona ed un’altra, mentre per la
medicina scientifica, ufficiale sotto la luce dei riflettori non c’è il malato
ma c’è la malattia. Un concetto che rischia di relegare l’uomo sullo sfondo,
anziché renderlo il protagonista della propria esistenza. A tutti sarà
capitato, trovandosi in un ospedale, di sentir parlare della “tiroide della
stanza numero otto” o della “terapia del letto quindici” piuttosto che un chirurgo affermare: “oggi
faccio tre ginocchia”.
E’
evidente che ragionare in quest’ottica significa orientarsi verso la malattia e
distaccarsi sempre di più dal paziente, dalla persona, che deve essere invece
riportata al centro. Non è un caso che, recenti studi scientifici internazionali
affermano che la somministrazione di farmaci si ridurrebbe del 400% se il
medico dedicasse dieci-quindici minuti del proprio tempo a parlare con il
paziente, mentre oggi purtroppo non è così perché il tempo è denaro, quindi la
stragrande maggioranza dei medici di norma somministrano la terapia e poi
ritengono esaurito il loro compito.
Tutto
questo impianto inizia a vacillare sotto le bordate di una nuova scienza, la fisica
quantistica.
Succede
infatti all’inizio del 900 che una serie di scienziati (tra cui Albert
Einstein) scoprono che all’interno dell’atomo che fino a quel tempo era
considerata la particella base, esiste qualcosa di più piccolo; e questa
scoperta è una travata paurosa per tutti i fisici dell’epoca.
Viene
svolto un esperimento in cui un elettrone dopo aver attraversato uno spazio si
andava ad infrangere contro una parete producendo un bip; lo stesso esperimento
però con il ricercatore in osservazione smetteva di procurare il bip, segnale
acustico che invece riprendeva non appena il ricercatore distoglieva lo sguardo
dall’elettrone stesso.
Da qui
l’idea che il solo osservare un fenomeno modifichi il risultato del fenomeno
stesso.
Non
solo; ci sono giorni in cui l’esperimento da risultati diversi (in cui l’unica
variabile è stata cambiare il giorno) e risultati diversi di ottengono anche facendo
svolgere lo stesso esperimento da persone diverse. Non si riesce a capire
perché, ma è così.
Questo
significa che tra me che guardo, che faccio, e l’evento stesso, si crea una
relazione, un rapporto, e quindi che c’è relazione osservatore / osservato:
l’universo è in compartecipazione, tutto è legato con tutto.
Spostando
una sedia e New York possiamo scatenare un terremoto a Pechino. Esiste un
tutt’uno che non è scollegabile.
Nel
nostro piccolo proviamo ad immaginare di essere comodamente seduti sul divano
del nostro salotto a dialogare con il nostro partner quando tutto ad un tratto
ci accorgiamo che dietro la tenda c’è una persona che ci sta osservando. E’
uguale a prima o cambia tutto? Cambia tutto !!! Ananche se la persona dietro la
tenda non fa nulla di particolare, non interagisce con noi, solo per il fatto
che sia lì, modifica completamente la dinamica di relazione traa me e il mio
partner.
Ecco quindi
la sola osservazione da parte di una persona può cambiare il risultato di un
intero fenomeno.
Carl
Gustav Jung il grande psicanalista del secolo scorso, alla luce di tutto questo
cerca di tirare un po’ le fila arrivando ad enunciare la teoria della Sincronicità,
vale a dire che ci sono cose che accadono non solo insieme ma che sono legate
fra loro da un senso comune.
In
un’ottica di questo tipo il principio causa / effetto fino a lì dominante viene
per lo meno affiancato dal principio che eventi simili legati fra loro tendono
a comparire insieme.
E’
evidente che questo nuovo modo di intendere le cose mini le basi della
filosofia positivistica, togliendo tutta una serie di certezze che erano date
per scontate da centinaia di anni.
E sarà proprio la sincronicità Junghiana,
con le similitudini che passano attraverso ad un senso comune, a rappresentare la
chiave di lettura di tutte le patologie andando a rappresentare la pietra
angolare del pensiero psicosomatico perché è da questo assunto che siamo in
grado di affermare che esiste una relazione profonda fra malattia e persona.
Per
fare un esempio ragioniamo su una persona che soffre di un eczema, una
manifestazione cutanea con caratteristiche peculiari legate ad una serie di
elementi quali il calore, il rossore, visibile agli occhi degli altri.
Partendo
dal presupposto che eventi simili legati fra loro tendono a comparire insieme, ragioniamo
a cosa c’è di simile all’eczema. Indagheremo quindi se la persona ad esempio
sogna spesso un incendio, o se da piccolina aveva tendenze da piromane (o
semplicemente che amava giocare con i fiammiferi), o se esiste un’aggressività
latente, una sorta di fuoco che non riesce ad emergere, se si veste spesso con
vestiti rosso fuoco o se ha le labbra sempre laccate di rosso acceso. Oppure
anche al suo contrario e quindi se la persona odia il rosso, non mette mai
nessun capo d’abbigliamento di colore rosso, mai un rossetto rosso, mai unghie
laccate di rosso, ecc…
E
quindi magari, questo rosso trattenuto che fa esplode nel suo corpo la
manifestazione dell’eczema.
In una
chiave di lettura psicosomatica dobbiamo sempre ragionare andando alla ricerca delle similitudini esistenti
tra qualche caratteristica tipica della persona e le caratteristiche tipiche
della malattia o della disarmonia che si è presentata
Per
poter ragionare in questo modo è quindi necessario allargare lo sguardo. Pensiamo
ad un cavallo con i paraocchi; può vedere soltanto quanto compreso nell’angolo
di visuale che si origina attraverso queste barriere laterali causa dei
paraocchi. Ma se al cavallo togliamo i paraocchi egli potrà incominciare a
vedere tante cose che fino a qual momento non vedeva, guardare la medesima
realtà con uno sguardo diverso. La realtà è la medesima, non è che quelle cose che
prima non vedeva non esistevano, è semplicemente che lui che non le poteva
vedere!!!
In
Italia bisognerà attendere gli anni ’90 del secolo scorso per “sdoganare” questa
nuova visione dell’unità psicosomatica. Negli anni ’80 infatti la medicina
viveva un momento di grandi trionfi e il Prof. Dulbecco scriveva che “eravamo
prossimi a sconfiggere le malattie”.
Figuriamoci
in un contesto del genere che spazio poteva avere la psicosomatica e il sintomo
visto come un messaggio che la persona vuole dare
Il
tempo però ha detto che le cose non erano proprio così e che si è ben lungi da
risolvere tutte le malattie (tumori su tutte) e anche oggi l’uomo continua ad ammalarsi
e probabilmente si ammalerà sempre.
Ecco
che a metà degli anni 90 qualcosa inizia a muoversi in una direzione diversa,
anche grazie all’aiuto della scia lunga che arrivava dagli Stati Uniti di un
movimento chiamato New Age, che con le sue modalità, tecniche, atteggiamenti
(molti interessanti, alcuni banali e superficiali) affermava che star bene
nella vita nasce soprattutto da un rapporto con sé stessi importante,
Ed è in
quel contesto che nasce la nuova visione olistica e psicosomatica, basata su
una scelta molto netta e precisa, vale a dire quella di non contrapporsi alla
medicina ufficiale, scientifica, ma di affiancarsi alla stessa, utilizzando
strumenti diversi da quelli del medico ma comunque utili e interessanti.
Una
visione dell’uomo e di ogni essere vivente per cui “siamo unici al mondo”.
Ognuno
ha una mano diversa, con segni diversi, con impronte digitali diverse, con un
patrimonio genetico unico, e pertanto quello che può essere positivo per me
magari non necessariamente sarà altrettanto positivo per un'altra persona.
E
proprio qui risiede una delle differenze più evidenti tra la Psicosomatica e la
medicina ufficiale, nella ricerca di uno standard, un qualcosa che va bene per
tutti (i famosi “protocolli di cura”) che rappresenta un cavallo di battaglia
del pensiero scientifico.
Per fare un esempio, per curare la mia tosse non è
detto che possa essere necessariamente utile uno sciroppo che ha fatto bene al
mio collega d’ufficio perché la mia tosse è la mia, ed è diversa da quella
delle altre persone. E se decido di impiegare qualche minuto per andare ad
analizzare bene (capacità di ascoltarsi) capirò che magari questa tosse sarà
più violenta in un preciso momento della giornata, in un preciso ambito, in un
preciso contesto, quando mi troverò in compagnia di determinate persone e
quindi dovrò analizzarla e trattarla come unica.
Quando una persona si ammala significa principalmente
che non sta bene con sé stessa e la malattia che questa persona “sceglie”
è un mezzo per parlare di sé agli altri. La malattia è quindi ricca di
significati e va considerata come un linguaggio dell’anima.
Nel
prossimo articolo inizieremo ad approfondire questa affascinante
visione di insieme dell’uomo chiamata Psicosomatica
………………………………………………….
Filippo Vagli, Docente dell’Accademia
di Naturopatia Olistica Anahata è Naturopata diplomato con lode presso Riza,
Istituto di Medicina Psicosomatica e Counselor.
Da oltre 25 anni si
dedica allo studio, alla ricerca e alla divulgazione della Naturopatia, della
Psicosomatica, delle Filosofie Olistiche, delle discipline Bio-Naturali e di
relazione di aiuto alla persona.
Nessun commento:
Posta un commento