venerdì 22 giugno 2018

IL PENSIERO OLISTICO E LA CONCEZIONE PSICOSOMATICA


di Filippo Vagli

Il termine Olismo deriva dalla parola greca Olos che significa TUTTO.
Una visione olistica è quindi una visione unitaria dove le cose e gli eventi che sembrano scollegati fra loro sono invece tenuti insieme da un unico filo conduttore
La storia è colma di popoli e culture che procedevano in questa direzione e le corrispondenze analogiche tra uomo e universo che lo circonda erano alla base di tutto.
Questi popoli antichissimi avevano capito che ad esempio tra uomo e albero c’erano affinità importanti. Le radici dell’albero sono come i nostri piedi e le nostre gambe; e forse non si parla di tronco sia per l’albero che per il busto dell’uomo? Non si sente forse dire che i nostri piedi rappresentano le nostre radici? La natura e l’uomo quindi come ci insegnano queste immagini sono fatte delle stesse sostanze, hanno immagini sovrapponibili e sono legate intensamente da qualcosa. Oppure pensiamo alla similitudine fra la chioma dell’albero e la chioma dell’uomo (capelli). La perdita dei capelli autunnali è quindi un processo naturale come avviene per l’albero con le foglie. L’albero è costretto a farlo perché essendoci poco sole, deve convogliare tutta l’energia nelle radici al fine della sopravvivenza e quindi non avendo energia necessaria da mandare verso l’alto, le foglie cadono.
Per l’uomo d’oggi invece la natura è diventata quasi nemica, un qualcosa da governare e da sfruttare, da mettere a reddito con le colture intensive e lo sfruttamento del mondo animale. Un tempo l’animale conviveva con l’uomo; vi era l’aia, l’uomo dormiva nella stalla insieme alle sue bestie, mentre la nuova era ci ha restituito un rapporto completamente diverso con mondo animale e vegetale, dove tutto si è scollato, scollegato, dove l’uomo ha assunto una posizione di dominio al fine di regnare sfruttando questi altri mondi con cui per migliaia di anni aveva convissuto in maniera pacifica e armonica.
La visione olistica, naturale nelle culture più antiche, è stata fortemente messa in discussione da filosofie quali il positivismo, il meccanicismo, il razionalismo che, negli anni 1500 – 1600, hanno fatto sì che si perdesse questa visione d’insieme delle cose che aveva caratterizzato invece fino a quel punto la storia dell’uomo. Hanno sganciato una cosa dall’altra per poter arrivare a definirla sempre meglio, per poterla studiare e analizzarla fino in fondo; un po’ come avviene con il microscopio, strumento che scende sempre più nel particolare ma nel contempo fa si che si perda la visione d’insieme.
Inoltre, l’illuminismo e il positivismo, attraverso il pensiero scientifico, hanno fatto sì che si andasse verso il positivismo anche per la salute e nel secolo scorso, con l’affermazione della chimica e della scienza farmacologia si avrà il grande salto di qualità, con studi scientifici di grande ampiezza che porteranno cure specifiche per le varie patologie. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale si morirà molto meno grazie a penicilline, antibiotici, vaccini, che hanno notevolmente allungato la durata della vita portando il pensiero medico scientifico ad essere uno schiacciasassi.
La scienza quindi parte al galoppo e una sua specifica branca, la fisica, che si era formata ai tempi di Newton (fisica meccanica) era ancora ancorata ai suoi pilastri principali:
  • Spazio / Tempo,
  • Oggettività (un paio di occhiali è un paio di occhiali. Stop, non può essere nient’altro, è provato scientificamente, come si suol dire)
  • Causa / Effetto: altro presupposto della ricerca scientifica. Vale a dire il poter sempre dimostrare fino a prova contraria che un effetto avviene sempre in relazione ad una determinata causa. E’ corretto, intendiamoci; non è un concetto sbagliato. E’ però una concezione che se portata all’estremo rischia di non tenere più conto dell’unicità dell’individuo e quindi della sua storia, del suo terreno, e di tutto ciò che lo rende unico, anche nella malattia.
Mentre per una visione olistica e psicosomatica non può esserci sovrapponibilità tra una persona ed un’altra, mentre per la medicina scientifica, ufficiale sotto la luce dei riflettori non c’è il malato ma c’è la malattia. Un concetto che rischia di relegare l’uomo sullo sfondo, anziché renderlo il protagonista della propria esistenza. A tutti sarà capitato, trovandosi in un ospedale, di sentir parlare della “tiroide della stanza numero otto” o della “terapia del letto quindici”  piuttosto che un chirurgo affermare: “oggi faccio tre ginocchia”.
E’ evidente che ragionare in quest’ottica significa orientarsi verso la malattia e distaccarsi sempre di più dal paziente, dalla persona, che deve essere invece riportata al centro. Non è un caso che, recenti studi scientifici internazionali affermano che la somministrazione di farmaci si ridurrebbe del 400% se il medico dedicasse dieci-quindici minuti del proprio tempo a parlare con il paziente, mentre oggi purtroppo non è così perché il tempo è denaro, quindi la stragrande maggioranza dei medici di norma somministrano la terapia e poi ritengono esaurito il loro compito.

Tutto questo impianto inizia a vacillare sotto le bordate di una nuova scienza, la fisica quantistica.
Succede infatti all’inizio del 900 che una serie di scienziati (tra cui Albert Einstein) scoprono che all’interno dell’atomo che fino a quel tempo era considerata la particella base, esiste qualcosa di più piccolo; e questa scoperta è una travata paurosa per tutti i fisici dell’epoca.
Viene svolto un esperimento in cui un elettrone dopo aver attraversato uno spazio si andava ad infrangere contro una parete producendo un bip; lo stesso esperimento però con il ricercatore in osservazione smetteva di procurare il bip, segnale acustico che invece riprendeva non appena il ricercatore distoglieva lo sguardo dall’elettrone stesso.
Da qui l’idea che il solo osservare un fenomeno modifichi il risultato del fenomeno stesso.
Non solo; ci sono giorni in cui l’esperimento da risultati diversi (in cui l’unica variabile è stata cambiare il giorno) e risultati diversi di ottengono anche facendo svolgere lo stesso esperimento da persone diverse. Non si riesce a capire perché, ma è così.
Questo significa che tra me che guardo, che faccio, e l’evento stesso, si crea una relazione, un rapporto, e quindi che c’è relazione osservatore / osservato: l’universo è in compartecipazione, tutto è legato con tutto.
Spostando una sedia e New York possiamo scatenare un terremoto a Pechino. Esiste un tutt’uno che non è scollegabile.
Nel nostro piccolo proviamo ad immaginare di essere comodamente seduti sul divano del nostro salotto a dialogare con il nostro partner quando tutto ad un tratto ci accorgiamo che dietro la tenda c’è una persona che ci sta osservando. E’ uguale a prima o cambia tutto? Cambia tutto !!! Ananche se la persona dietro la tenda non fa nulla di particolare, non interagisce con noi, solo per il fatto che sia lì, modifica completamente la dinamica di relazione traa me e il mio partner.
Ecco quindi la sola osservazione da parte di una persona può cambiare il risultato di un intero fenomeno.
Carl Gustav Jung il grande psicanalista del secolo scorso, alla luce di tutto questo cerca di tirare un po’ le fila arrivando ad enunciare la teoria della Sincronicità, vale a dire che ci sono cose che accadono non solo insieme ma che sono legate fra loro da un senso comune.
In un’ottica di questo tipo il principio causa / effetto fino a lì dominante viene per lo meno affiancato dal principio che eventi simili legati fra loro tendono a comparire insieme.
E’ evidente che questo nuovo modo di intendere le cose mini le basi della filosofia positivistica, togliendo tutta una serie di certezze che erano date per scontate da centinaia di anni.
E sarà proprio la sincronicità Junghiana, con le similitudini che passano attraverso ad un senso comune, a rappresentare la chiave di lettura di tutte le patologie andando a rappresentare la pietra angolare del pensiero psicosomatico perché è da questo assunto che siamo in grado di affermare che esiste una relazione profonda fra malattia e persona.
Per fare un esempio ragioniamo su una persona che soffre di un eczema, una manifestazione cutanea con caratteristiche peculiari legate ad una serie di elementi quali il calore, il rossore, visibile agli occhi degli altri.
Partendo dal presupposto che eventi simili legati fra loro tendono a comparire insieme, ragioniamo a cosa c’è di simile all’eczema. Indagheremo quindi se la persona ad esempio sogna spesso un incendio, o se da piccolina aveva tendenze da piromane (o semplicemente che amava giocare con i fiammiferi), o se esiste un’aggressività latente, una sorta di fuoco che non riesce ad emergere, se si veste spesso con vestiti rosso fuoco o se ha le labbra sempre laccate di rosso acceso. Oppure anche al suo contrario e quindi se la persona odia il rosso, non mette mai nessun capo d’abbigliamento di colore rosso, mai un rossetto rosso, mai unghie laccate di rosso, ecc…
E quindi magari, questo rosso trattenuto che fa esplode nel suo corpo la manifestazione dell’eczema. 
In una chiave di lettura psicosomatica dobbiamo sempre ragionare andando alla ricerca delle similitudini esistenti tra qualche caratteristica tipica della persona e le caratteristiche tipiche della malattia o della disarmonia che si è presentata
Per poter ragionare in questo modo è quindi necessario allargare lo sguardo. Pensiamo ad un cavallo con i paraocchi; può vedere soltanto quanto compreso nell’angolo di visuale che si origina attraverso queste barriere laterali causa dei paraocchi. Ma se al cavallo togliamo i paraocchi egli potrà incominciare a vedere tante cose che fino a qual momento non vedeva, guardare la medesima realtà con uno sguardo diverso. La realtà è la medesima, non è che quelle cose che prima non vedeva non esistevano, è semplicemente che lui che non le poteva vedere!!!

In Italia bisognerà attendere gli anni ’90 del secolo scorso per “sdoganare” questa nuova visione dell’unità psicosomatica. Negli anni ’80 infatti la medicina viveva un momento di grandi trionfi e il Prof. Dulbecco scriveva che “eravamo prossimi a sconfiggere le malattie”.
Figuriamoci in un contesto del genere che spazio poteva avere la psicosomatica e il sintomo visto come un messaggio che la persona vuole dare
Il tempo però ha detto che le cose non erano proprio così e che si è ben lungi da risolvere tutte le malattie (tumori su tutte) e anche oggi l’uomo continua ad ammalarsi e probabilmente si ammalerà sempre.
Ecco che a metà degli anni 90 qualcosa inizia a muoversi in una direzione diversa, anche grazie all’aiuto della scia lunga che arrivava dagli Stati Uniti di un movimento chiamato New Age, che con le sue modalità, tecniche, atteggiamenti (molti interessanti, alcuni banali e superficiali) affermava che star bene nella vita nasce soprattutto da un rapporto con sé stessi importante,
Ed è in quel contesto che nasce la nuova visione olistica e psicosomatica, basata su una scelta molto netta e precisa, vale a dire quella di non contrapporsi alla medicina ufficiale, scientifica, ma di affiancarsi alla stessa, utilizzando strumenti diversi da quelli del medico ma comunque utili e interessanti.
Una visione dell’uomo e di ogni essere vivente per cui “siamo unici al mondo”.
Ognuno ha una mano diversa, con segni diversi, con impronte digitali diverse, con un patrimonio genetico unico, e pertanto quello che può essere positivo per me magari non necessariamente sarà altrettanto positivo per un'altra persona.
E proprio qui risiede una delle differenze più evidenti tra la Psicosomatica e la medicina ufficiale, nella ricerca di uno standard, un qualcosa che va bene per tutti (i famosi “protocolli di cura”) che rappresenta un cavallo di battaglia del pensiero scientifico.
Per fare un esempio, per curare la mia tosse non è detto che possa essere necessariamente utile uno sciroppo che ha fatto bene al mio collega d’ufficio perché la mia tosse è la mia, ed è diversa da quella delle altre persone. E se decido di impiegare qualche minuto per andare ad analizzare bene (capacità di ascoltarsi) capirò che magari questa tosse sarà più violenta in un preciso momento della giornata, in un preciso ambito, in un preciso contesto, quando mi troverò in compagnia di determinate persone e quindi dovrò analizzarla e trattarla come unica.
Quando una persona si ammala significa principalmente che non sta bene con sé stessa e la malattia che questa persona “sceglie” è un mezzo per parlare di sé agli altri. La malattia è quindi ricca di significati e va considerata come un linguaggio dell’anima.
Nel prossimo articolo inizieremo ad approfondire questa affascinante visione di insieme dell’uomo chiamata Psicosomatica

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Filippo Vagli, Docente dell’Accademia di Naturopatia Olistica Anahata è Naturopata diplomato con lode presso Riza, Istituto di Medicina Psicosomatica e Counselor.
Da oltre 25 anni si dedica allo studio, alla ricerca e alla divulgazione della Naturopatia, della Psicosomatica, delle Filosofie Olistiche, delle discipline Bio-Naturali e di relazione di aiuto alla persona.

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