venerdì 10 agosto 2018

IL BLOG DI ANAHATA: NON ESISTONO EMOZIONI BUONE E CATTIVE, MA SOLO EMOZIONI. Di Filippo Vagli




IL BLOG DI ANAHATA: NON ESISTONO EMOZIONI BUONE E CATTIVE, MA SOLO EMOZIONI. Di Filippo Vagli
Emozioni buone ed emozioni cattive: una distinzione che non ha motivo di esistere.
Paul Ekman, uno dei maggiori esponenti delle teorie evoluzionistico-funzionaliste delle emozioni, individuò sei emozioni primarie: gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto, sorpresa. Più tutta una serie di emozioni “secondarie” o sentimenti (imbarazzo, orgoglio, gelosia, invidia aggressività, colpa, ecc…) che nascono dalle connessioni tra emozioni primarie e situazioni.
Il nostro cervello ha bisogno di codificare e di catalogare tutto, e così spesso accade che etichettiamo anche le emozioni, inconsapevoli però che esse sono come la gamma dei colori dell’arcobaleno. Esistono tutte ed insieme convivono dentro di noi dal momento che ognuna di esse, in un determinato momento, sta svolgendo una sua specifica funzione.
La rabbia ad esempio è un di quelle emozioni che la stragrande maggioranza delle persone vive in maniera negativa. La cultura dominante ci ha insegnato fin da piccoli che le persone “rabbiose” sono cattive, inadeguate, vittime di sé stesse e delle situazioni negative della vita. E per assecondare questa visione abbiamo creato un’immagine di noi stessi troppo rigida e controllata per cui tendiamo a trattenere questa rabbia, fino anche ad arrivare all’ulcera o alla colite. L’addome, dal momento che contiene stomaco e intestino è considerato la sede della nostra istintualità, e quando lo teniamo troppo a bada, per il quieto vivere, per i condizionamenti sociali, per l’educazione che abbiamo ricevuto, succede che prima o poi ci viene a chiedere il conto attraverso i propri sintomi. Ecco quindi che questa rabbia, oltre a portarci consapevolezza su quanta energia, quanta forza, e quanta grinta possediamo, ogni tanto ci viene a trovare anche per rompere questa immagine troppo rigida di noi stessi che ci siamo creati.
Così come l’aggressività, altro sentimento considerato poco nobile, ma che in realtà non è sempre negativo. Il significato etimologico di aggredire è AD GREDIOR vale a dire ANDARE VERSO. Non è sinonimo di violenza, di sopraffazione ma è la più sana capacità di andarsi a prendere ciò di cui si ha bisogno. Provate a buttare un biscotto in mezzo a due cani che si vogliono bene perché vivono insieme da anni: ringhiano e se c’è bisogno si aggrediscono per andare a prenderlo. Questo perché l’istinto animale, che non è mediato da quella parte del cervello chiamata neocorteccia come invece accade nell’uomo, fa sì che ognuno si vada a prendere ciò che gli serve per la sopravvivenza (nell’esempio cibo). Poi, una volta che uno dei due se l’è preso, basta, amici come prima.
Quindi l’aggressività quando non è intesa come violenza (quest’ultima infatti è solo un aspetto dell’aggressività) ma come “andare” verso un proprio bisogno primario, verso un proprio obiettivo importante, verso una propria necessità, è tutt’altro che negativa. Rappresenta un’energia vitale, uno stimolo atto a far sì che ognuno di noi tiri fuori tutti gli attributi necessari a raggiungere il proprio fine, un elemento che si avvicina molto alla consapevolezza. 
Stessa cosa per come l’invidia, un sentimento apparentemente legato ad un senso di frustrazione derivante dalle fortune altrui, ma che in verità ci sta parlando di noi, del nostro profondo, dei nostri bisogni insoddisfatti. Un’energia volta a trasformare i nostri sogni in obiettivi.
Tutti noi dobbiamo necessariamente passare attraverso tutte queste emozioni e quindi non è corretto dire “io sono sempre arrabbiato” piuttosto che “io sono sempre geloso”, perché altrimenti ci focalizziamo su queste e perdiamo di vista tutte le altre.
Gli antichi per parlare delle emozioni facevano parlare gli dei, che altro non sono che una rappresentazione delle varie emozioni che abitano dentro l’essere umano. L’uomo antico in un momento di profonda tristezza, di grande gelosia, piuttosto che di rabbia calda, avrebbe ragionato in questi termini: “Cosa saranno venuti a dirmi questi sentimenti così potenti che mi angosciano? Che strada vogliono che io intraprenda?”.
La nostra mente invece, che tutto vuole sapere, controllare e definire in termini razionali, non potrà mai spiegarci un’emozione perché queste hanno altri codici. Ogni volta che vogliamo controllare o spiegarci un’emozione con la ragione, magari perché non vogliamo accettare il dolore per un istante, quel dolore rischiamo di cronicizziamo, costringendoci a soffrire per tutta la vita. La maledizione del nostro tempo è la scissione tra ciò che siamo e tra ciò che vorremmo essere. Il pensiero razionale non ha nulla a che fare con la vita e quindi dovremmo avere il coraggio ogni tanto di mettere i soliti pensieri da parte.
Ricorda sempre che nessuna emozione è eterna. Tutte le emozioni possono essere visualizzate come una curva gaussiana, vale a dire una figura geometrica un inizio, una salita fino a giungere ad un picco massimo e poi una discesa. L’emozione compie esattamente questo percorso: arriva improvvisa, sale, sale, sale, giunge ad un picco (di dolore così come di gioia) e poi, a patto che noi non la disturbiamo, decresce da sola, cala, cala, cala, fino a scomparire. Se invece la contrastiamo rischiamo soltanto, una volta arrivata al suo picco massimo di trasformarla in una linea retta togliendole la possibilità naturale di decrescere.
Oppure, sempre per non voler soffrire, al primo malessere prendiamo la “pastiglietta”. Ma proviamo ad immaginare un rubinetto da cui sgorga sia acqua calda che acqua fredda; caldo e freddo, i due opposti. Esattamente come gioia e dolore, i due opposti. Ecco, se quel rubinetto lo chiudiamo non sgorgherà più nulla, né l’acqua calda né tanto meno l’acqua fredda. E allo stesso modo succederà per le nostre emozioni: con la “pastiglietta” ci illudiamo di poter chiudere solo il rubinetto del dolore, ma aimè non sé così, e da quel rubinetto non potrà più sgorgare nulla, nemmeno la gioia. Nella vita esiste anche il dolore, e proprio il dolore ha una funzione importantissima perché arriva a spazzare via tutto l’inutile che c’è dentro di noi.
Ma cosa significa non intervenire?
Significa sedersi in poltrona e dirsi: “Ok, mi arrendo, non intervengo”. Così come quando è in corso una rapina, mi metto a mani alzate e lascio fare. Ok, mi accorgo che sta arrivando l’ansia, non cerco di spiegarmi il perché, non mi interessa da dove arriva, non mi chiedo nulla, non mi oppongo, semplicemente l’accetto. La saggezza della tua parte più autentica e più profonda, ti sta dicendo di fermarti e di rimanere un po’con la tua rabbia, con la tua aggressività, con la tua tristezza, di lasciarti invadere da loro, perché sono gli anticorpi necessari al fine della tua crescita personale.
Troppo spesso ci mettiamo in scontro diretto contro queste sensazioni, senza considerare che in questo modo, anziché liberarcene le potenziamo, gli diamo forza. L’emozione quando arriva non va scacciata, va accolta, va vissuta, e se proviamo a farlo ci accorgiamo che questa, così come un’onda del mare arriva, e poi se ne torna da dove è venuta.
Edward Bach, il medico gallese che ci ha fornito il magnifico sistema floreale che porta il suo nome, sosteneva che ognuno di noi è venuto al mondo per apprendere una lezione. E in tema di emozioni la lezione più importante che possiamo apprendere è il trascurare ogni tipo di giudizio morale, sociale, culturale riguardo questi sentimenti così forti, così potenti. Sia riguardo a quelli più gradevoli quali l’amore, la gioia, la generosità, sia verso quelli considerati più brutti quali la rabbia, l’invidia, la gelosia, la tristezza, e lasciarli vivere al nostro interno in armonia, semplicemente accogliendoli ed integrandoli
Questo ci consentirà di evolvere e di poter seguire il nostro percorso di crescita personale, abbandonando la visione rigida e a senso unico che ci eravamo costruiti di noi stessi per ottemperare allo scopo della nostra vita terrena, vale a dire diventare quegli esseri autentici, unici e irripetibili di cui ci parla la visione olistica dell’uomo.
Vi lascio con una straordinaria poesia di Giadal al – Din Rumi, il poeta mistico di origine persiana del 1200, in ci parla proprio dell’importanza di accogliere e integrare le emozioni.

Questo essere umano è un piccolo albergo.
Ogni giorno un nuovo arrivo:
una gioia, una depressione, una meschinità.
Qualche momentanea consapevolezza giunge
come un visitatore inaspettato.
Dà il benvenuto e intrattiene tutti gli altri
anche se essi sono una folla di dispiaceri,
che violentemente scuotono la casa
vuota dei suoi arredi.
Malgrado tutto onora ogni ospite,
la consapevolezza può mettere ordine
e creare spazio
per qualche nuova delizia.
Il pensiero cupo, la vergogna, la malizia
si incontrano alla porta ridendo
e li invita ad entrare.
Sii grato verso chiunque arrivi,
perché ognuno è stato inviato
come una guida dall’aldilà.

Giadal al – Din Rumi


Filippo Vagli, divulgatore Olistico, responsabile didattico e docente dell’Accademia di Naturopatia Olistica Anahata è Naturopata diplomato con lode presso Riza, Istituto di Medicina Psicosomatica, Counselor e Life Coach.
Da oltre 25 anni si dedica allo studio, alla ricerca e alla divulgazione della Naturopatia, della Psicosomatica, delle Filosofie Olistiche, delle discipline Bio-Naturali e di relazione di aiuto alla persona.

  

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