IL BLOG DI
ANAHATA: NON ESISTONO EMOZIONI BUONE E CATTIVE, MA SOLO EMOZIONI. Di Filippo Vagli
Emozioni buone
ed emozioni cattive: una distinzione che non ha motivo di esistere.
Paul Ekman, uno
dei maggiori esponenti delle teorie evoluzionistico-funzionaliste delle
emozioni, individuò sei emozioni primarie: gioia, tristezza, rabbia, paura,
disgusto, sorpresa. Più tutta una serie di emozioni “secondarie” o sentimenti (imbarazzo,
orgoglio, gelosia, invidia aggressività, colpa, ecc…) che nascono dalle
connessioni tra emozioni primarie e situazioni.
Il nostro
cervello ha bisogno di codificare e di catalogare tutto, e così spesso accade
che etichettiamo anche le emozioni, inconsapevoli però che esse sono come la
gamma dei colori dell’arcobaleno. Esistono tutte ed insieme convivono dentro di
noi dal momento che ognuna di esse, in un determinato momento, sta svolgendo
una sua specifica funzione.
La rabbia
ad esempio è un di quelle emozioni che la stragrande maggioranza delle persone
vive in maniera negativa. La cultura dominante ci ha insegnato fin da piccoli
che le persone “rabbiose” sono cattive, inadeguate, vittime di sé stesse e
delle situazioni negative della vita. E per assecondare questa visione abbiamo
creato un’immagine di noi stessi troppo rigida e controllata per cui tendiamo a
trattenere questa rabbia, fino anche ad arrivare all’ulcera o alla colite. L’addome,
dal momento che contiene stomaco e intestino è considerato la sede della nostra
istintualità, e quando lo teniamo troppo a bada, per il quieto vivere, per i
condizionamenti sociali, per l’educazione che abbiamo ricevuto, succede che prima
o poi ci viene a chiedere il conto attraverso i propri sintomi. Ecco quindi che
questa rabbia, oltre a portarci consapevolezza su quanta energia, quanta forza,
e quanta grinta possediamo, ogni tanto ci viene a trovare anche per rompere
questa immagine troppo rigida di noi stessi che ci siamo creati.
Così come
l’aggressività, altro sentimento considerato poco nobile, ma che in realtà non
è sempre negativo. Il significato etimologico di aggredire è AD GREDIOR vale a
dire ANDARE VERSO. Non è sinonimo di violenza, di sopraffazione ma è la più
sana capacità di andarsi a prendere ciò di cui si ha bisogno. Provate a buttare
un biscotto in mezzo a due cani che si vogliono bene perché vivono insieme da
anni: ringhiano e se c’è bisogno si aggrediscono per andare a prenderlo. Questo
perché l’istinto animale, che non è mediato da quella parte del cervello chiamata
neocorteccia come invece accade nell’uomo, fa sì che ognuno si vada a prendere
ciò che gli serve per la sopravvivenza (nell’esempio cibo). Poi, una volta che
uno dei due se l’è preso, basta, amici come prima.
Quindi
l’aggressività quando non è intesa come violenza (quest’ultima infatti è solo
un aspetto dell’aggressività) ma come “andare” verso un proprio bisogno
primario, verso un proprio obiettivo importante, verso una propria necessità, è
tutt’altro che negativa. Rappresenta un’energia vitale, uno stimolo atto a far
sì che ognuno di noi tiri fuori tutti gli attributi necessari a raggiungere il
proprio fine, un elemento che si avvicina molto alla consapevolezza.
Stessa cosa per
come l’invidia, un sentimento apparentemente legato ad un senso di frustrazione
derivante dalle fortune altrui, ma che in verità ci sta parlando di noi, del
nostro profondo, dei nostri bisogni insoddisfatti. Un’energia volta a
trasformare i nostri sogni in obiettivi.
Tutti noi
dobbiamo necessariamente passare attraverso tutte queste emozioni e quindi non
è corretto dire “io sono sempre arrabbiato” piuttosto che “io sono sempre
geloso”, perché altrimenti ci focalizziamo su queste e perdiamo di vista tutte
le altre.
Gli
antichi per parlare delle emozioni facevano parlare gli dei, che altro non sono
che una rappresentazione delle varie emozioni che abitano dentro l’essere umano.
L’uomo antico in un momento di profonda tristezza, di grande gelosia, piuttosto
che di rabbia calda, avrebbe ragionato in questi termini: “Cosa saranno venuti
a dirmi questi sentimenti così potenti che mi angosciano? Che strada vogliono
che io intraprenda?”.
La nostra mente
invece, che tutto vuole sapere, controllare e definire in termini razionali,
non potrà mai spiegarci un’emozione perché queste hanno altri codici. Ogni
volta che vogliamo controllare o spiegarci un’emozione con la ragione, magari
perché non vogliamo accettare il dolore per un istante, quel dolore rischiamo
di cronicizziamo, costringendoci a soffrire per tutta la vita. La maledizione
del nostro tempo è la scissione tra ciò
che siamo e tra ciò che vorremmo essere. Il pensiero razionale non ha
nulla a che fare con la vita e quindi dovremmo avere il coraggio ogni tanto di
mettere i soliti pensieri da parte.
Ricorda
sempre che nessuna emozione è eterna. Tutte
le emozioni possono essere visualizzate come una curva gaussiana, vale a dire
una figura geometrica un inizio, una salita fino a giungere ad un picco massimo
e poi una discesa. L’emozione compie esattamente questo percorso: arriva improvvisa,
sale, sale, sale, giunge ad un picco (di dolore così come di gioia) e poi, a
patto che noi non la disturbiamo, decresce
da sola, cala, cala, cala, fino a scomparire. Se invece la contrastiamo rischiamo soltanto, una volta arrivata al
suo picco massimo di trasformarla in una linea retta togliendole la
possibilità naturale di decrescere.
Oppure,
sempre per non voler soffrire, al primo malessere prendiamo la “pastiglietta”.
Ma proviamo ad immaginare un rubinetto da cui sgorga sia acqua calda che acqua
fredda; caldo e freddo, i due opposti. Esattamente come gioia e dolore, i due
opposti. Ecco, se quel rubinetto lo chiudiamo non sgorgherà più nulla, né
l’acqua calda né tanto meno l’acqua fredda. E allo stesso modo succederà per le
nostre emozioni: con la “pastiglietta” ci illudiamo di poter chiudere solo il
rubinetto del dolore, ma aimè non sé così, e da quel rubinetto non potrà più
sgorgare nulla, nemmeno la gioia. Nella vita esiste anche il dolore, e proprio il dolore ha una funzione
importantissima perché arriva a spazzare via tutto l’inutile che c’è dentro di noi.
Ma cosa
significa non intervenire?
Significa
sedersi in poltrona e dirsi: “Ok, mi arrendo, non intervengo”. Così come quando
è in corso una rapina, mi metto a mani alzate e lascio fare. Ok, mi accorgo che
sta arrivando l’ansia, non cerco di spiegarmi il perché, non mi interessa da dove
arriva, non mi chiedo nulla, non mi oppongo, semplicemente l’accetto. La saggezza della tua parte più
autentica e più profonda, ti sta dicendo di fermarti e di rimanere un po’con la
tua rabbia, con la tua aggressività, con la tua tristezza, di lasciarti
invadere da loro, perché sono gli anticorpi necessari al fine della tua
crescita personale.
Troppo spesso ci mettiamo in scontro
diretto contro queste sensazioni, senza considerare che in questo modo, anziché
liberarcene le potenziamo, gli diamo forza. L’emozione quando arriva non va
scacciata, va accolta, va vissuta, e se proviamo a farlo ci accorgiamo che questa,
così come un’onda del mare arriva, e poi se ne torna da dove è venuta.
Edward Bach, il medico gallese che ci
ha fornito il magnifico sistema floreale che porta il suo nome, sosteneva che
ognuno di noi è venuto al mondo per apprendere una lezione. E in tema di
emozioni la lezione più importante che possiamo apprendere è il trascurare ogni
tipo di giudizio morale, sociale, culturale riguardo questi sentimenti così
forti, così potenti. Sia riguardo a quelli più gradevoli quali l’amore, la
gioia, la generosità, sia verso quelli considerati più brutti quali la rabbia,
l’invidia, la gelosia, la tristezza, e lasciarli vivere al nostro interno in
armonia, semplicemente accogliendoli ed integrandoli
Questo ci consentirà di evolvere e di poter
seguire il nostro percorso di crescita personale, abbandonando la visione
rigida e a senso unico che ci eravamo costruiti di noi stessi per ottemperare
allo scopo della nostra vita terrena, vale a dire diventare quegli esseri
autentici, unici e irripetibili di cui ci parla la visione olistica dell’uomo.
Vi lascio con una straordinaria poesia
di Giadal al – Din Rumi, il poeta mistico di origine persiana del 1200, in ci
parla proprio dell’importanza di accogliere e integrare le emozioni.
Questo essere umano è un piccolo albergo.
Ogni giorno un nuovo arrivo:
una gioia, una depressione, una meschinità.
Qualche momentanea consapevolezza giunge
come un visitatore inaspettato.
Dà il benvenuto e intrattiene tutti gli altri
anche se essi sono una folla di dispiaceri,
che violentemente scuotono la casa
vuota dei suoi arredi.
Malgrado tutto onora ogni ospite,
la consapevolezza può mettere ordine
e creare spazio
per qualche nuova delizia.
Il pensiero cupo, la vergogna, la malizia
si incontrano alla porta ridendo
e li invita ad entrare.
Sii grato verso chiunque arrivi,
perché ognuno è stato inviato
come una guida dall’aldilà.
Ogni giorno un nuovo arrivo:
una gioia, una depressione, una meschinità.
Qualche momentanea consapevolezza giunge
come un visitatore inaspettato.
Dà il benvenuto e intrattiene tutti gli altri
anche se essi sono una folla di dispiaceri,
che violentemente scuotono la casa
vuota dei suoi arredi.
Malgrado tutto onora ogni ospite,
la consapevolezza può mettere ordine
e creare spazio
per qualche nuova delizia.
Il pensiero cupo, la vergogna, la malizia
si incontrano alla porta ridendo
e li invita ad entrare.
Sii grato verso chiunque arrivi,
perché ognuno è stato inviato
come una guida dall’aldilà.
Giadal al – Din Rumi
Filippo Vagli,
divulgatore Olistico, responsabile didattico e docente
dell’Accademia di Naturopatia Olistica Anahata è Naturopata diplomato con lode
presso Riza, Istituto di Medicina Psicosomatica, Counselor e Life Coach.
Da
oltre 25 anni si dedica allo studio, alla ricerca e alla divulgazione della
Naturopatia, della Psicosomatica, delle Filosofie Olistiche, delle discipline
Bio-Naturali e di relazione di aiuto alla persona.
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