mercoledì 17 ottobre 2018

IL BLOG DI ANAHATA: COME POTER CAMBIARE I NOSTRI STATI D’ANIMO. Di Filippo Vagli




IL BLOG DI ANAHATA: COME POTER CAMBIARE I NOSTRI STATI D’ANIMO
Di Filippo Vagli

Spesso viviamo periodi contraddistinti da uno stato d’animo negativo ma ciononostante continuiamo a fare le stesse cose, anche se un grande saggio come Albert Einstein ci ha insegnato da tempo che “Se fai sempre le stesse cose otterrai gli stessi risultati”.
Certo, fare cose nuove significa cambiare e cambiare per l’animo umano è estremamente complicato.

Ci scontriamo infatti con il fenomeno della resistenza al cambiamento, un qualcosa di insito in ognuno di noi. Per noi il cambiamento è fonte di guai perché è faticoso, implica un notevole dispendio energetico, e quindi per pigrizia tendiamo a rimanere in quella che si chiama “Zona di Confort.

Ecco perché c’è chi resiste per quarant’anni ad un lavoro che gli fa schifo, così come chi rimane intrappolato a vita in un rapporto di coppia che non lo soddisfa. E lo fa perché stare lì, rimanendo nel punto in cui si trova, è più facile e meno doloroso che cambiare.
Spesso cambiamo quando non ne possiamo più, quando siamo realmente con le spalle al muro, quando sentiamo di avere toccato il fondo, ma così facendo gettiamo al vento gli anni più belli della nostra vita.

Inoltre oggi i cambiamenti sociali viaggiano velocissimi e se non cambiamo anche noi allo stesso ritmo riuscendo ad adattarci ai cambiamenti, vivere diventa un problema e il nostro stato d’animo non potrà che essere negativo.
Cambiare non è facile, ma la buona notizia è che è possibile farlo.

Cambiare è possibile non tanto grazie al “pensiero positivo”, una scuola di pensiero che non amo particolarmente, quanto grazie all’”atteggiamento positivo”, elemento che è in grado di per sé di cambiare il nostro stato d’animo e la nostra vita.
E per farlo esiste una parola d’ordine: l’azione.

Se vogliamo dirigere la nostra vita, e non farci dirigere da essa, dobbiamo assumere il controllo delle nostre azioni dal momento che ogni azione che compiamo innesca necessariamente tutta una serie di conseguenze.
Siamo noi che decidiamo continuamente il nostro presente, e il nostro futuro dipende in buona parte dal nostro potere decisionale. Tutto è una decisione: il lavoro, la carriera, la famiglia, i figli, la dieta, il fumo, il mutuo, la macchina. Se solo ci fermiamo un attimo a pensare diventiamo consapevoli di quante migliaia di decisioni abbiamo preso nell’arco della nostra vita.

Ogni qual volta compiamo un’azione, attiviamo uno specifico percorso neuronale, e se questa azione la compiamo dieci, cinquanta, cento, mille volte, essa diventerà una nuova abitudine, che andrà a scalzare quelle che erano le vecchie abitudini, le vecchie modalità, i vecchi atteggiamenti.
Compiere azioni implica però spendere un po’ di fatica, ma è l’unica possibilità che abbiamo per vivere una vita piena, per vivere felici e per goderci fino in fondo gli anni che ci rimangono da vivere, che per altro non sappiamo quanti saranno.

Spendendo un po’ di fatica è possibile infatti uscire dal grigio in cui ci troviamo oggi.
Si, spendendo un po’ di fatica, perché un po’ di fatica è necessaria per giungere a qualsiasi tipo di obiettivo.

Ma molto spesso, anziché passare per la via dell’impegno e della fatica siamo bravissimi nel piangerci addosso. Abbiamo inventato una nuova arte, quella di creare gli “scusoni”, degli alibi.

Per evitare di compiere ogni azione che ci porterebbe verso un cambiamento c’è sempre una scusa, così dietro ad ogni nostra sconfitta c’è sempre un alibi esterno.
Spesso nelle consulenze di Life Coaching mi capita di suggerire alle persone di leggere, di studiare, di andare a vedere mostre, di visitare città, di fare corsi, per crescere, per migliorare le proprie competenze. E le risposte sono per lo più che leggere piace poco, che studiare a una certa età è impegnativo, che per viaggiare non c’è tempo, che i corsi sono lontani, costano troppo, e che quelli che sono vicini e che costano poco sono poco qualificati

Scuse, solo scuse, centinaia, migliaia di scuse, di alibi.
Bisognerebbe avere il coraggio di dire le cose come stanno, vale a dire che leggere, studiare, crescere e tutto ciò che porta verso un cambiamento di stato non interessa, non è una priorità, soprattutto perché costa impegno e fatica.

Ma sono proprio le difficoltà gli elementi che costringono l’uomo ad evolvere.
Se non affrontiamo le difficoltà rimaniamo in uno stato neonatale, mentre affrontandole, una volta superate, saremo diversi, saremo cambiati di stato e di conseguenza avremo modificato i nostri stati d’animo.

Basta andare su You Tube e digitare “Nick Vujicic”. Se già non lo conosciamo ci accorgeremo di come questo ragazzo australiano nato senza gambe, senza braccia, con solo due piccoli piedi (uno dei quali con solo tre dita) a causa di una rara malattia genetica, fa tutto quello che vuole fare, mentre noi ci inventiamo mille scuse per non fare quello che ci servirebbe, anche se abbiamo le gambe e le braccia.
Se aspettiamo che tutte le condizioni siano ideali non faremo mai nulla, perché ci sarà sempre qualcosa che non sarà perfetto. In Africa, così in tante zone del Sud America c’è uno stato di povertà assoluta però la gente ride; a Milano c’è ricchezza però sono tutti arrabbiati e ansiosi. Così come se ben ci pensiamo quelli che noi chiamiamo problemi altro non sono che i desideri della maggior parte della popolazione mondiale. Chi non riesce a mettere insieme un pasto caldo per cena pagherebbe molto volentieri le tasse che paghiamo noi.

Nell’affrontare il cambiamento dobbiamo considerare che il nostro cervello non riconosce la diversità tra verità e fantasia; è infatti sufficiente immaginare di strisciare le unghie contro una lavagna di ardesia per percepire i brividi lungo la schiena e la pelle d’oca su tutto il corpo, esattamente come se quella azione la stessimo compiendo realmente.
Ecco che il nostro dialogo interiore, le domande che ci poniamo, le parole che ci diciamo hanno un grande significato, pari a quello delle nostre azioni.

Ogni parola è ipnotica, nel senso che, sia che a pronunciarla siano altre persone piuttosto che noi stessi, produce grandi effetti nella mente della persona che la ascolta.
Le parole possono farci ridere, piangere, ferire, guarire, ci possono portare speranza così come disperazione, e quindi influenzano pesantemente i nostri stati d’animo.

Attraverso le parole siamo in grado di esprimere i nostri desideri, i nostri sogni, i nostri obiettivi, così come attraverso le parole possiamo arrivare a influenzare l’emotività nostra e delle persone che ci ascoltano.
Le parole toccano nel profondo e sono uno strumento importante di crescita; portano verso l’azione, e l’azione crea il nostro destino. Le parole, soprattutto quelle che diciamo a noi stessi, si sedimentano nella nostra mente e hanno un potere incredibile.

Cambiando le parole che ci diciamo in nostro cervello percepisce cose diverse e incomincia a cambiare. Ecco perché per modificare i nostri stati d’animo è così importante provare a cambiare le parole che normalmente utilizziamo.

I più recenti studi di neuroscienze hanno evidenziato che le parole che usiamo diventano la nostra esperienza e quindi se ampliamo in nostro vocabolario possiamo cambiare la nostra storia.

Quando ci troviamo in uno stato d’animo negativo e stiamo provando un’emozione o una realtà che non ci piace, spesso basterebbe incominciare a chiamarla in un altro modo, con altre parole, con un sinonimo, per depotenziarla, riducendone sensibilmente l’intensità.
Facciamo qualche esempio concreto: abbiamo provato una forte delusione e questo ci fa stare male. Anziché dire “sono deluso” proviamo a dire “sono contrariato”. Una nostra attività non ha dato i risultati sperati e ci sentiamo in uno stato di frustrazione. Anziché dire “ho fallito” proviamo a dire “ho fatto un’esperienza”. Proviamo ad utilizzare il termine “pensieroso” anziché “triste” o a dire “sono molto molto impegnato” anziché “sono molto stressato”, così come pronunciare “meravigliato” anziché “deluso”.

In psicosomatica si dice che il termine “devo” pesa come un macigno sulla nostra schiena. E’ sufficiente provare a sostituirlo con “posso” per fare in modo che il percepito, per il nostro psicosoma sia un qualcosa di completamente diverso, di molto più leggero.
Dobbiamo smetterla di pronunciare le parole che non ci servono, che non sono adattive per noi. Smettendo di pronunciarle riusciremo a ridurre intensità emotiva che l’eco di certe parole producevano al nostro interno. Se riusciremo in questo intento, andando quindi a trasformare il nostro vocabolario, percepiremo qualcosa di completamente nuovo, diverso, e questo modificherà sostanzialmente i nostri stati d’animo. Sarà quindi proprio attraverso l’uso corretto delle parole che possiamo trovare quello stato d’animo che ci sarà più utile per le attività che dovremo affrontare nella nostra quotidianità.

E se, nonostante i problemi e le difficoltà che la vita quotidianamente ci propone, abbiamo deciso che vogliamo essere felici, perché comunque se ben ci pensiamo nella vita di ognuno di noi ci sono anche tante cose belle, alla domanda “Come stai?” risponderemo “Molto bene, meravigliosamente bene”.
In quel momento i nostri interlocutori ci guarderanno in modo strano, rimarranno spiazzati, dal momento che la risposta standard a quella domanda di norma è: “Non c’è male”. Ma per il nostro cervello, per il nostro psicosoma, per il nostro percepito, c’è una grande differenza nel pronunciare “Molto bene, meravigliosamente bene” piuttosto che “Non c’è male”. Gli effetti sulla nostra mente sono completamente diversi.

Esistono studi scientifici che dimostrano che enunciare ad un paziente oncologico che gli rimangono solo sei mesi di vita fa sì che difficilmente questi vada oltre quel termine. Comunicando invece ad un altro paziente con la stessa patologia la stessa diagnosi ma senza menzionare alcuna tempistica, quasi sempre quella persona supera abbondantemente tale periodo di vita.

Le parole che applichiamo alla nostra esperienza diventano la nostra esperienza e quindi il linguaggio e la scelta dei vocaboli costituiscono lo strumento principale del nostro stato d’animo e quindi del nostro benessere.
Usandoli saggiamente, immaginandoli come i semi della nostra pianta, essa stessa potrà fiorire e diventare una solida guida per il nostro percorso terreno.

Usandoli a sproposito otterremo nulla di più che una serie di erbacce.

Siamo noi che creiamo il nostro mondo.

Tutto è difficile sino a quando non sappiamo come si fa.

 Filippo Vagli, divulgatore Olistico, responsabile didattico e docente dell’Accademia di Naturopatia Olistica Anahata è Naturopata diplomato con lode presso Riza, Istituto di Medicina Psicosomatica, Counselor e Life Coach.

Da oltre 25 anni si dedica allo studio, alla ricerca e alla divulgazione della Naturopatia, della Psicosomatica, delle Filosofie Olistiche, delle discipline Bio-Naturali e di relazione di aiuto alla persona.

Nessun commento:

Posta un commento