mercoledì 19 dicembre 2018

NUOVO MASTER DI ANAHATA: MAKKOHO - Esercizi dei meridiani


MAKKOHO
Esercizi dei Meridiani

La pratica di Makkoho (in giapponese Makkouhou = "via diritta per la salute") nacque alla fine del 1800 e fu scoperta da un signore giapponese di nome Wataru Nagai che nacque nel tempio di Fukui (1889) nell’omonima prefettura. Non fu monaco e lavorò moltissimo (non si sa quale professione svolse) in giro per il Giappone tanto da diventare molto ricco. A 42 anni si ammalò di una degenerazione del cervello (che gli avrebbe progressivamente paralizzato la parte sinistra del corpo) e i dottori gli dissero “di buttare il cucchiaio” che è il nostro modo di dire “gettare la spugna” poiché, secondo loro, non gli rimaneva molto da vivere. Così il signor Nagai tornò a Fukui, nel tempio, per studiare e praticare il Buddhismo insieme ai monaci. Non riusciva ad assumere la posizione tipica della preghiera buddhista (che è appunto la posizione base del Makkoho) ma si accorse che, eseguendola, il bacino si ammorbidiva facendo sciogliere tutto il corpo. Così iniziò ad esercitarsi costantemente nell’assumere quella posizione fino a sciogliere completamente il corpo e a guarire dalla malattia. Visse fino a 74 anni.

Originariamente, Makkoho era eseguita in 4 posizioni di base. Dopo un secolo dalla nascita di Nagai, il maestro giapponese Shizuto Masunaga la sviluppa creando 6 posizioni di base (che corrispondono alle 6 coppie di meridiani energetici) fino a formare un vero e proprio sistema di 50 posizioni. Sistema diffusosi in Occidente col nome di Stretching dei Meridiani.

Attraverso il suo pluriennale lavoro di shiatsuka e di psicologo, Masunaga ha notato che certe posizioni non si limitano "solo" ad allungare singole parti di corpo ma addirittura intere porzioni che coincidono con i percorsi dei singoli meridiani della Medicina Tradizionale Cinese. La scoperta più sorprendente è quella riguardante la modalità di esecuzione dello stretch. Masunaga ha intuito che per ottenere un rilassamento completo e profondo di tutto il corpo, non è necessario forzare consciamente l'allungamento ma è sufficiente respirare profondamente. E', infatti, l'espirazione durante la fase di allungamento, che produce la rimozione e il rilascio dell'energia stagnante presente nei canali energetici del corpo donando scioltezza e vigore. 

Questi esercizi sono semplici e alla portata di tutti, possono essere praticati ovunque e in breve tempo (10-15 minuti) e rispondono al detto giapponese “La tensione e la rigidità sono la causa di tutti i mali”. 

Sono spesso insegnati nelle scuole di Shiatsu per supportare la teoria dei Meridiani della Medicina Tradizionale Cinese anche se la conoscenza di tale teoria non è essenziale per la buona riuscita di una sessione di lavoro. Sono inseriti anche, come fase di riscaldamento, nelle scuole di Arti Marziali. 

I benefici degli Esercizi dei Meridiani sono molteplici: 

-          rilasciano la tensione nei maggiori gruppi di muscoli

-          sciolgono le articolazioni e le giunture

-          dissolvono la fatica 

-          rinvigoriscono il corpo

-          portano un sacco di nutrimento vitale agli organi interni

-          sanificano le attività psichiche correlate agli organi stessi

-          praticati con costanza, eliminano il grasso in eccesso

-          donano un aspetto bello e sano

Obiettivo del Master è fornire al partecipante le capacità e la sensibilità per identificare, attraverso le varie posizioni e posture, le rigidità e i “blocchi” presenti nel corpo e gli strumenti per andare a sciogliere tali tensioni.

Il master, aperto anche ai principianti, si sviluppa in 5 incontri (5 weekend dalle 10,00 alle 18,00) nel corso dei quali i partecipanti apprenderanno gli esercizi per favorire lo scorrimento dell’energia vitale nel proprio organismo promuovendone la salute e il vigore.  

Il Master si svilupperà studiando ed approfondendo i seguenti argomenti:

SESSIONE TEORICA 

• Etimologia 

• Breve cenno di storia 

• I Meridiani energetici e la Medicina tradizionale cinese 

• La Filosofia Cinese dei 5 Elementi 

• Anatomia dei Meridiani e Ciclo Circadiano 

• Le coppie di Meridiani e le loro Funzioni e Dis-funzioni  

SESSIONE PRATICA 

• Metodo 

- Makkoho delle origini (Il "tavolo", Tsukue : le 4 posizioni di base) 

- Esercizi di Base  

- Esercizi complementari (per il rilassamento) 

- Esercizi per tipologie (per tonificare) 

- Esercizi avanzati 

- Esercizi a terra 

- Esercizi liberi (Mobilitazione di collo, spalle e colonna vertebrale)

• Respirazione 

• Uso dei colori  

• Uso dei suoni 

• Come divenire consapevoli degli squilibri 

 Per la partecipazione o, semplicemente, per avere informazioni inerenti al Master in Makkoho (che è a numero rigorosamente chiuso), è possibile contattarci telefonicamente o via mail agli indirizzi reperibili nell'area informazioni
 





 

 

lunedì 10 dicembre 2018

AROMAMASSAGGIO: IL MASSAGGIO CON GLI OLI ESSENZIALI


Per Aromamassaggio si intende un trattamento che prevede l’utilizzo di diverse tecniche di massaggio che si sono sviluppate nei paesi Occidentali nei due secoli scorsi integrate con l’utilizzo di specifici oli essenziali.

L’Aromamassaggio è un trattamento che ha molta attinenza con la visione olistica e psicosomatica. In primis perchè viene indirizzato direttamente alla pelle, la quale è sede di importanti significati simbolici. Quest’ultima viene infatti definita un secondo sistema nervoso, poiché prende origine allo stesso foglietto embrionale del sistema  nervoso centrale. Rappresenta la parte più visibile del nostro corpo dal momento che è quella parte che mettiamo in relazione con il mondo esterno e che rappresenta il confine che delimita lo spazio interno, che fa di una persona un’unità unica e irripetibile e che, attraverso il tatto, ci consente di comunicare con il mondo esterno.Per questo la pelle è considerata l’organo della relazione per antonomasia e rappresenta il canale più profondo per la comunicazione.
Non è un caso che i bambini abbiano un bisogno vitale del contatto fisico con la loro mamma. Questo bisogno primario rimane una esigenza fondamentale anche in età adulta dal momento che la pelle è un veicolo di emozioni.

Pertanto si può ben capire quanto, attraverso essa, durante un massaggio, il massaggiatore può entrare in comunicazione profonda con la persona che sta ricevendo il trattamento. Se pensiamo al linguaggio comune, ai modi di dire (così spesso trascurati ma di grande importanza) possiamo ricordare espressioni come “vender cara la pelle”, “rischiare la pelle”, “ho la pelle dura”, e renderci conto quanto questi modi di dire mettano in evidenza come la pelle venga spesso fatta coincidere con la vita stessa.

Altro grande simbolismo della pelle è quello relativo al cambiamento: il serpente, in tutte le simbologie, rappresenta la trasformazione attraverso il cambio della pelle. Cambiare la pelle significa quindi cambiare l’Io e rivelare a noi e al mondo un nuovo Sé. Tanti nostri disagi emergono sulla pelle che, anche attraverso le sue patologie, può essere utilizzata come una barriera da interporre tra noi e gli altri quando vogliamo difenderci. Basta pensare all’acne: il volto che si trasforma portando alla luce il rosso delle pustole che rimanda all’eros, alla pulsione sessuale e il giallo del pus che rimanda allo sperma, per simboleggiare una sessualità repressa che ha voglia di uscire.

E’ estremamente importante il modo in cui il massaggio con gli oli essenziali viene effettuato. Il silenzio, la serenità dell’operatore, l’assenza elementi disturbanti esterni, il luogo in cui avviene la seduta,  il tipo di luce dell’ambiente, la sua temperatura, la comodità del lettino su cui fare accomodare il cliente, il sottofondo musicale, l’aroma che possiamo creare nell’ambiente bruciando incensi o resine, tutto ciò che viene definito il setting terapeutico è in grado di condizionare in modo tangibile l’efficacia del trattamento.

Anche la scelta degli oli da massaggio richiede grande attenzione e  specifiche professionalità da parte del terapeuta, dal momento che un corretto utilizzo dell’aromaterapia è in grado di potenziare l’efficacia del trattamento ma, nello stesso tempo, può anche diventare uno strumento alquanto pericoloso se gestito con superficialità e senza specifiche conoscenze.

I numerosi benefici del massaggio sono conosciuti fin dall’antichità e possono riguardare sia la persona nella sua globalità (mentecorpo) sia specifici organi, apparati o funzioni. Parliamo quindi di una miglior vascolarizzazione e ossigenazione dei tessuti delle zone massaggiate, di un miglioramento della stasi linfatica, di effetto drenante e disintossicante a livello di tossine, di effetto decontratturante piuttosto che tonificante a livello di tessuti e muscoli, di un effetto rilassante a livello diaframmatico con conseguente miglioramento della respirazione, di una maggior mobilità a livello articolare, di un alleggerimento dello stress, di un possibile miglioramento dell’insonnia, e altri ancora.

Riguardo agli oli essenziali si può dire che l’utilizzo da parte dell’uomo delle essenze aromatiche estratte dalle piante risale a migliaia di anni fa.
Nelle varie culture e aree geografiche, in oriente come in occidente, gli oli essenziali vengono da sempre impiegati per diversi fini: per accompagnare cerimonie religiose, con scopi terapeutici, come trattamenti di bellezza e altro ancora.
Anche gli alchimisti, nel corso delle modalità di purificazione progressiva della materia attraverso i loro procedimenti alchemici volti  a liberare l’essenza stessa e l’energia racchiusa nella materia, parlavano di un parallelismo tra l’estrazione degli oli essenziali e la psiche purificata dell’uomo, quella che chiameranno “quinta essenza”.
Essi sono quindi un prodotto assai raffinato e,  intorno alla metà del 1800 grazie agli studi di alcuni medici e ricercatori, fu possibile ricondurre ad essi a livello scientifico un importante potere antimicrobico certificando quindi l’efficacia riguardo al loro utilizzo nel trattamento di diversi disturbi; inoltre, attraverso recenti ricerche biochimiche e microbiologiche si è messo in evidenza come i diversi principi attivi contenuti negli oli essenziali possano avere una grande efficacia sia nei confronti di diversi germi patogeni, sia a livello di sistema nervoso,  poiché influenzano in modo positivo le funzioni psichiche, quali il tono dell’umore e le emozioni.
Questi oli, infatti, attraverso l’olfatto dirigono importanti impulsi al cervello andando così ad attivare sia specifiche aree cerebrali (sedi delle emozioni), sia parti molto antiche del cervello (sistema limbico) che hanno a che fare con importantissime funzioni neurovegetative quali la memoria, la sessualità, il sistema respiratorio, il sistema immunitario, digestivo, l’aggressività, l’alimentazione etc… 
Inoltre, essendo sostanze oleose, se applicate sulla pelle opportunamente diluite in olio vettore (mandorle dolci, oliva, etc…) oltrepassano rapidamente i vari strati cutanei raggiungendo i capillari sanguigni; da qui si introducono nelle cellule e nei fluidi corporei sviluppando la loro azione a livello organico, soprattutto nelle zone coincidenti alla sede di applicazione.
Ecco perché gli oli essenziali abbinati alle manovre di massaggio sono in grado di potenziarne l’efficacia, aiutando le persone ad abbandonarsi, piuttosto che a stimolarsi in relazione al bisogno stesso della persona e, ovviamente, alle caratteristiche delle essenze scelte.

Gli oli essenziali possono essere suddivisi in tre categorie:

Oli a nota di base: sono oli estratti dalle radici o dalle parti dure delle piante (corteccia, resina); sono oli poco volatili, portano stabilità, radicamento, senso di appartenenza al presente, calmano e rilassano e agiscono sul piano corporeo in maniera molto profonda. Ricordiamo tra questi l’olio  essenziale di Cannella, Cipresso, Pino, Sandalo, Patchouly.

Oli a nota di cuore: sono oli mediamente volatili che vengono estratti dai petali dei fiori e per questo sono molto profumati; hanno un’azione molto sensuale, seduttiva, afrodisiaca, sono piuttosto intensi e ad alto valore emozionale. Ricordiamo l’olio essenziale di Camomilla, Gelsomino, Lavanda, Neroli (fiori d’arancio), Rosa, Tiglio.

Oli a nota di testa: sono oli molto volatili, prevalentemente estratti dai frutti (es. buccia degli agrumi) che evaporano molto velocemente e hanno la particolarità di essere antidepressivi, dinamizzanti, euforizzanti. Mettono di buon umore, alleggeriscono i pensieri e lavorano molto sul piano spirituale. Ricordiamo tra questi l’olio essenziale di Eucalipto, Limone, Arancio dolce, Arancio amaro, menta, Bergamotto.

Sarà compito del terapeuta praticare le manualità più consone così come abbinare gli opportuni oli essenziali, in relazione alle caratteristiche “bioenergetiche” del ricevente, fornendo quindi un trattamento “personalizzato” per ogni singolo utente.

Questo tipo di massaggio non è adatto nei seguenti stati: stati febbrili, gravi forme di cardiopatie, tromboflebiti, artriti in fase acuta, forme neoplastiche in fase di trattamento chemioterapico o con radioterapia.

mercoledì 31 ottobre 2018

IL BLOG DI ANAHATA: IL RACCONTO DELL’ELEFANTE INCATENATO. Una storia che ci insegna a vivere



IL BLOG DI ANAHATA: IL RACCONTO DELL’ELEFANTE INCATENATO. Una storia che ci insegna a vivere
Di Filippo Vagli

L’elefante incatenato è un racconto di Jorge Bucay, psicoterapeuta gestaltico, drammaturgo e scrittore argentino. E’ una storia a due facce: affascinante e nello stesso momento triste, che ci consente di poter fare una serie di importanti riflessioni sulle “catene” che ci tengono imprigionati nel nostro percorso di vita.
"Quando ero piccolo adoravo il circo; ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini. Durante lo spettacolo faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe. Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri e anche se la catena era grossa mi pareva ovvio che un animale del genere potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire. Che cosa lo teneva legato? Chiesi in giro a tutte le persone che incontravo di risolvere il mistero dell’elefante; qualcuno mi disse che l’elefante non scappava perché era ammaestrato… allora posi la domanda ovvia: “se è ammaestrato, perché lo incatenano?” Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente. Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto. Per mia fortuna qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato tanto saggio da trovare la risposta: l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo. Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato ad un paletto che provava a spingere, tirare e sudava nel tentativo di liberarsi, ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui. Lo vedevo addormentarsi sfinito e il giorno dopo provarci di nuovo e così il giorno dopo e quello dopo ancora. Finché un giorno, un giorno terribile per la sua storia, l’animale accettò l’impotenza rassegnandosi al proprio destino.
L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché, poveretto, crede di non poterlo fare.  Reca impresso sulla sua pelle il ricordo dell’impotenza sperimentata e non è mai più ritornato a provare, non ha più messo alla prova di nuovo la sua forza….mai più!
Così dopo vari tentativi un giorno si rassegnò alla propria impotenza.
Molto spesso viviamo anche noi come l’elefante pensando e quasi convincendoci che non possiamo fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa, ci avevamo provato ed avevamo fallito, ed allora sulla pelle abbiamo inciso “non posso, non posso e non potrò mai”.
L’unico modo per sapere se puoi farcela è provare di nuovo mettendoci tutto il cuore… tutto il tuo cuore!”

Jorge Bucay
Quante volte anche noi ci siamo sentiti come quell’elefante incatenato.
Quante volte pensiamo di avere le potenzialità per “liberarci” dalle nostre catene ma non lo facciamo perché avertiamo che qualcosa ci limita a livello interiore.
Questa storia che ci offre una straordinaria chiave di lettura su quel fenomeno che in psicologia viene chiamato “Impotenza appresa”, una situazione in cui pensiamo che non possa essere fatto nulla per cambiare una certa situazione, per cui non ci proviamo nemmeno.
Ma nella realtà, non è così.
Noi non siamo l’elefantino incatenato, e possediamo una serie infinita di risorse interiori per gestire gli stati d’animo negativi che avvertiamo nei momenti in cui “l’impotenza appresa” si impossessa di noi.
Ma quali sono queste risorse?
In prima istanza dobbiamo credere nel fatto che siamo noi in prima persona che possiamo cambiare una buona parte delle cose che nella nostra vita non vanno. Ovviamente non possiamo cambiare tutto quello che non ci piace; pensare questo significherebbe essere vittime del pensiero magico infantile. Inoltre, è assolutamente controproducente sia in termini di energia spesa che di risultati ottenuti cercare di cambiare cose che non sono sotto il nostro controllo dal momento che tutto ciò provocherebbe un fallimento del nostro tentativo di cambiamento. E l’esito negativo di questa esperienza genererebbe in noi soltanto frustrazione e conseguentemente disistima. Ma possiamo invece cambiare tutte quelle cose che possiamo realmente controllare, tutto ciò che dipende da noi, dalle nostre azioni.
Dobbiamo poi evitare di essere preda dei nostri “ammaestratori”.
Con questo termine ci riferiamo a quelle persone che quotidianamente ci dicono ciò che secondo loro dobbiamo fare. Attraverso questa modalità è come se ci tenessero legati ad un paletto, esattamente ciò che accade all’elefantino, delimitando attraverso la lunghezza di quella corda quello che per loro deve essere il nostro mondo.
E’ evidente che la lunghezza di quel laccio, non solo ostacolerà la nostra evoluzione, la nostra crescita personale, ma la renderà impossibile, e il fine ultimo sarà quello di indirizzare la nostra vita nel verso ad essi più congegnale. Agli “ammaestratori” infatti poco o nulla importa del nostro benessere, della nostra felicità, e tutti i loro sforzi sono finalizzati esclusivamente a mantenere inalterati i loro equilibri.
Frasi del tipo: “Lo dico per il tuo bene”, piuttosto che “Rimani con i piedi per terra, fai come ti dico io” ci rimandano con assoluta evidenza a questo tipo di atteggiamenti, chiaramente manipolatori.
Una volta preso coscienza di tutto ciò, il successivo elemento da considerare riguarda gli errori che commettiamo nella vita.
Dobbiamo infatti cambiare atteggiamento, smettendola di criticarci ogni qual volta sbagliamo qualcosa. Non possiamo martirizzarci per ogni errore commesso. Gli errori non sono delle sentenze mortali, fanno parte della vita di ogni persona, e commettere errori non significa essere dei buoni a nulla.
E’ evidente che per iniziare a ragionare in questi termini sarà di fondamentale importanza circondarsi di persone positive, che possano sostenerci e stimolarci nel nostro percorso di vita e di crescita personale. Le persone che ci vogliono bene infatti, ci sostengono e ci incoraggiano ad andare nella direzione che ci rende felici e che ci rende liberi. Sarà altresì importante evitare la frequentazione di persone negative, pessimiste, che altro non fanno che buttare a terra la nostra energia con le loro previsioni nefaste affossando con tutti i mezzi a loro disposizione i nostri desideri di cambiamento.
Ed infine, non dobbiamo mai dimenticare di “celebrare” le nostre vittorie ogni volta che compiamo qualcosa di buono, che raggiungiamo un nostro obiettivo, piccolo o grande che sia. E lo dobbiamo fare attraverso delle vere e proprie ricompense, regalandoci qualcosa che ci piace, che amiamo: una serata in più con gli amici, una bella cena, un pomeriggio in un centro benessere, un concerto, la visita ad una mostra, tutto ciò che ci restituisce gioia e felicità.
Complimentarsi con noi stessi ogni qual volta facciamo qualcosa di buono, rappresenta lo strumento più propulsivo a nostra disposizione, il miglior trampolino di lancio possibile per aumentare la nostra attitudine ad andare verso una visione ottimistica della vita, offrendoci lo spunto, l’energia, per slegarci dal paletto successivo.
Step by step, senza commettere l’errore del povero elefantino e quindi sradicando il paletto, per evitare di restare al….palo.

 Filippo Vagli, divulgatore Olistico, responsabile didattico e docente dell’Accademia di Naturopatia Olistica Anahata è Naturopata diplomato con lode presso Riza, Istituto di Medicina Psicosomatica, Counselor e Life Coach.
Da oltre 25 anni si dedica allo studio, alla ricerca e alla divulgazione della Naturopatia, della Psicosomatica, delle Filosofie Olistiche, delle discipline Bio-Naturali e di relazione di aiuto alla persona.

 

mercoledì 17 ottobre 2018

IL BLOG DI ANAHATA: COME POTER CAMBIARE I NOSTRI STATI D’ANIMO. Di Filippo Vagli




IL BLOG DI ANAHATA: COME POTER CAMBIARE I NOSTRI STATI D’ANIMO
Di Filippo Vagli

Spesso viviamo periodi contraddistinti da uno stato d’animo negativo ma ciononostante continuiamo a fare le stesse cose, anche se un grande saggio come Albert Einstein ci ha insegnato da tempo che “Se fai sempre le stesse cose otterrai gli stessi risultati”.
Certo, fare cose nuove significa cambiare e cambiare per l’animo umano è estremamente complicato.

Ci scontriamo infatti con il fenomeno della resistenza al cambiamento, un qualcosa di insito in ognuno di noi. Per noi il cambiamento è fonte di guai perché è faticoso, implica un notevole dispendio energetico, e quindi per pigrizia tendiamo a rimanere in quella che si chiama “Zona di Confort.

Ecco perché c’è chi resiste per quarant’anni ad un lavoro che gli fa schifo, così come chi rimane intrappolato a vita in un rapporto di coppia che non lo soddisfa. E lo fa perché stare lì, rimanendo nel punto in cui si trova, è più facile e meno doloroso che cambiare.
Spesso cambiamo quando non ne possiamo più, quando siamo realmente con le spalle al muro, quando sentiamo di avere toccato il fondo, ma così facendo gettiamo al vento gli anni più belli della nostra vita.

Inoltre oggi i cambiamenti sociali viaggiano velocissimi e se non cambiamo anche noi allo stesso ritmo riuscendo ad adattarci ai cambiamenti, vivere diventa un problema e il nostro stato d’animo non potrà che essere negativo.
Cambiare non è facile, ma la buona notizia è che è possibile farlo.

Cambiare è possibile non tanto grazie al “pensiero positivo”, una scuola di pensiero che non amo particolarmente, quanto grazie all’”atteggiamento positivo”, elemento che è in grado di per sé di cambiare il nostro stato d’animo e la nostra vita.
E per farlo esiste una parola d’ordine: l’azione.

Se vogliamo dirigere la nostra vita, e non farci dirigere da essa, dobbiamo assumere il controllo delle nostre azioni dal momento che ogni azione che compiamo innesca necessariamente tutta una serie di conseguenze.
Siamo noi che decidiamo continuamente il nostro presente, e il nostro futuro dipende in buona parte dal nostro potere decisionale. Tutto è una decisione: il lavoro, la carriera, la famiglia, i figli, la dieta, il fumo, il mutuo, la macchina. Se solo ci fermiamo un attimo a pensare diventiamo consapevoli di quante migliaia di decisioni abbiamo preso nell’arco della nostra vita.

Ogni qual volta compiamo un’azione, attiviamo uno specifico percorso neuronale, e se questa azione la compiamo dieci, cinquanta, cento, mille volte, essa diventerà una nuova abitudine, che andrà a scalzare quelle che erano le vecchie abitudini, le vecchie modalità, i vecchi atteggiamenti.
Compiere azioni implica però spendere un po’ di fatica, ma è l’unica possibilità che abbiamo per vivere una vita piena, per vivere felici e per goderci fino in fondo gli anni che ci rimangono da vivere, che per altro non sappiamo quanti saranno.

Spendendo un po’ di fatica è possibile infatti uscire dal grigio in cui ci troviamo oggi.
Si, spendendo un po’ di fatica, perché un po’ di fatica è necessaria per giungere a qualsiasi tipo di obiettivo.

Ma molto spesso, anziché passare per la via dell’impegno e della fatica siamo bravissimi nel piangerci addosso. Abbiamo inventato una nuova arte, quella di creare gli “scusoni”, degli alibi.

Per evitare di compiere ogni azione che ci porterebbe verso un cambiamento c’è sempre una scusa, così dietro ad ogni nostra sconfitta c’è sempre un alibi esterno.
Spesso nelle consulenze di Life Coaching mi capita di suggerire alle persone di leggere, di studiare, di andare a vedere mostre, di visitare città, di fare corsi, per crescere, per migliorare le proprie competenze. E le risposte sono per lo più che leggere piace poco, che studiare a una certa età è impegnativo, che per viaggiare non c’è tempo, che i corsi sono lontani, costano troppo, e che quelli che sono vicini e che costano poco sono poco qualificati

Scuse, solo scuse, centinaia, migliaia di scuse, di alibi.
Bisognerebbe avere il coraggio di dire le cose come stanno, vale a dire che leggere, studiare, crescere e tutto ciò che porta verso un cambiamento di stato non interessa, non è una priorità, soprattutto perché costa impegno e fatica.

Ma sono proprio le difficoltà gli elementi che costringono l’uomo ad evolvere.
Se non affrontiamo le difficoltà rimaniamo in uno stato neonatale, mentre affrontandole, una volta superate, saremo diversi, saremo cambiati di stato e di conseguenza avremo modificato i nostri stati d’animo.

Basta andare su You Tube e digitare “Nick Vujicic”. Se già non lo conosciamo ci accorgeremo di come questo ragazzo australiano nato senza gambe, senza braccia, con solo due piccoli piedi (uno dei quali con solo tre dita) a causa di una rara malattia genetica, fa tutto quello che vuole fare, mentre noi ci inventiamo mille scuse per non fare quello che ci servirebbe, anche se abbiamo le gambe e le braccia.
Se aspettiamo che tutte le condizioni siano ideali non faremo mai nulla, perché ci sarà sempre qualcosa che non sarà perfetto. In Africa, così in tante zone del Sud America c’è uno stato di povertà assoluta però la gente ride; a Milano c’è ricchezza però sono tutti arrabbiati e ansiosi. Così come se ben ci pensiamo quelli che noi chiamiamo problemi altro non sono che i desideri della maggior parte della popolazione mondiale. Chi non riesce a mettere insieme un pasto caldo per cena pagherebbe molto volentieri le tasse che paghiamo noi.

Nell’affrontare il cambiamento dobbiamo considerare che il nostro cervello non riconosce la diversità tra verità e fantasia; è infatti sufficiente immaginare di strisciare le unghie contro una lavagna di ardesia per percepire i brividi lungo la schiena e la pelle d’oca su tutto il corpo, esattamente come se quella azione la stessimo compiendo realmente.
Ecco che il nostro dialogo interiore, le domande che ci poniamo, le parole che ci diciamo hanno un grande significato, pari a quello delle nostre azioni.

Ogni parola è ipnotica, nel senso che, sia che a pronunciarla siano altre persone piuttosto che noi stessi, produce grandi effetti nella mente della persona che la ascolta.
Le parole possono farci ridere, piangere, ferire, guarire, ci possono portare speranza così come disperazione, e quindi influenzano pesantemente i nostri stati d’animo.

Attraverso le parole siamo in grado di esprimere i nostri desideri, i nostri sogni, i nostri obiettivi, così come attraverso le parole possiamo arrivare a influenzare l’emotività nostra e delle persone che ci ascoltano.
Le parole toccano nel profondo e sono uno strumento importante di crescita; portano verso l’azione, e l’azione crea il nostro destino. Le parole, soprattutto quelle che diciamo a noi stessi, si sedimentano nella nostra mente e hanno un potere incredibile.

Cambiando le parole che ci diciamo in nostro cervello percepisce cose diverse e incomincia a cambiare. Ecco perché per modificare i nostri stati d’animo è così importante provare a cambiare le parole che normalmente utilizziamo.

I più recenti studi di neuroscienze hanno evidenziato che le parole che usiamo diventano la nostra esperienza e quindi se ampliamo in nostro vocabolario possiamo cambiare la nostra storia.

Quando ci troviamo in uno stato d’animo negativo e stiamo provando un’emozione o una realtà che non ci piace, spesso basterebbe incominciare a chiamarla in un altro modo, con altre parole, con un sinonimo, per depotenziarla, riducendone sensibilmente l’intensità.
Facciamo qualche esempio concreto: abbiamo provato una forte delusione e questo ci fa stare male. Anziché dire “sono deluso” proviamo a dire “sono contrariato”. Una nostra attività non ha dato i risultati sperati e ci sentiamo in uno stato di frustrazione. Anziché dire “ho fallito” proviamo a dire “ho fatto un’esperienza”. Proviamo ad utilizzare il termine “pensieroso” anziché “triste” o a dire “sono molto molto impegnato” anziché “sono molto stressato”, così come pronunciare “meravigliato” anziché “deluso”.

In psicosomatica si dice che il termine “devo” pesa come un macigno sulla nostra schiena. E’ sufficiente provare a sostituirlo con “posso” per fare in modo che il percepito, per il nostro psicosoma sia un qualcosa di completamente diverso, di molto più leggero.
Dobbiamo smetterla di pronunciare le parole che non ci servono, che non sono adattive per noi. Smettendo di pronunciarle riusciremo a ridurre intensità emotiva che l’eco di certe parole producevano al nostro interno. Se riusciremo in questo intento, andando quindi a trasformare il nostro vocabolario, percepiremo qualcosa di completamente nuovo, diverso, e questo modificherà sostanzialmente i nostri stati d’animo. Sarà quindi proprio attraverso l’uso corretto delle parole che possiamo trovare quello stato d’animo che ci sarà più utile per le attività che dovremo affrontare nella nostra quotidianità.

E se, nonostante i problemi e le difficoltà che la vita quotidianamente ci propone, abbiamo deciso che vogliamo essere felici, perché comunque se ben ci pensiamo nella vita di ognuno di noi ci sono anche tante cose belle, alla domanda “Come stai?” risponderemo “Molto bene, meravigliosamente bene”.
In quel momento i nostri interlocutori ci guarderanno in modo strano, rimarranno spiazzati, dal momento che la risposta standard a quella domanda di norma è: “Non c’è male”. Ma per il nostro cervello, per il nostro psicosoma, per il nostro percepito, c’è una grande differenza nel pronunciare “Molto bene, meravigliosamente bene” piuttosto che “Non c’è male”. Gli effetti sulla nostra mente sono completamente diversi.

Esistono studi scientifici che dimostrano che enunciare ad un paziente oncologico che gli rimangono solo sei mesi di vita fa sì che difficilmente questi vada oltre quel termine. Comunicando invece ad un altro paziente con la stessa patologia la stessa diagnosi ma senza menzionare alcuna tempistica, quasi sempre quella persona supera abbondantemente tale periodo di vita.

Le parole che applichiamo alla nostra esperienza diventano la nostra esperienza e quindi il linguaggio e la scelta dei vocaboli costituiscono lo strumento principale del nostro stato d’animo e quindi del nostro benessere.
Usandoli saggiamente, immaginandoli come i semi della nostra pianta, essa stessa potrà fiorire e diventare una solida guida per il nostro percorso terreno.

Usandoli a sproposito otterremo nulla di più che una serie di erbacce.

Siamo noi che creiamo il nostro mondo.

Tutto è difficile sino a quando non sappiamo come si fa.

 Filippo Vagli, divulgatore Olistico, responsabile didattico e docente dell’Accademia di Naturopatia Olistica Anahata è Naturopata diplomato con lode presso Riza, Istituto di Medicina Psicosomatica, Counselor e Life Coach.

Da oltre 25 anni si dedica allo studio, alla ricerca e alla divulgazione della Naturopatia, della Psicosomatica, delle Filosofie Olistiche, delle discipline Bio-Naturali e di relazione di aiuto alla persona.

giovedì 4 ottobre 2018

IL BLOG DI ANAHATA: “NATURE’S PATH”. IL SENTIERO DELLA NATURA PER IL BENESSERE

 IL BLOG DI ANAHATA: “NATURE’S PATH”. IL SENTIERO DELLA NATURA PER IL BENESSERE
 Di Filippo Vagli



Negli ultimi anni l’uomo si è sempre più allontanato dalla natura.

Fino a qualche decennio fa per ogni uomo era naturale passare diverse ore del proprio tempo libero passeggiando in un bosco, camminando per i sentieri di montagna, o trascorrendo giornate all’aria aperta seduto su un prato magari facendo un bel picnic in compagnia.

Oggi queste esperienze si sono sempre più ridotte ad eventi sporadici, eccezionali, e tutto questo ci racconta di come il nostro rapporto con la natura si stia sempre più perdendo.

Senza ombra di dubbio, il progresso e la tecnologia hanno modificato sostanzialmente il modo di vivere di ognuno di noi, allontanandoci sempre di più da quelle che sono le nostre origini e quindi affievolendo lo strettissimo legame che fin da sempre ha unito l’uomo con l’ambiente naturale.

Tutto questo ci ha fatto intendere la natura come un elemento residuale, non indispensabile, un qualcosa di cui possiamo tranquillamente fare a meno, riducendolo eventualmente a qualche giornata delle nostre vacanze.

Per svariati secoli l’uomo si è però mosso totalmente nei ritmi e con i ritmi della natura.

Si alzava al nascere del sole e si coricava al suo calare.

Lavorava molto durante la bella stagione e riposava d’inverno.

Si nutriva di quello che la natura gli offriva.

Uomo e natura camminavano insieme, parlavano la stessa lingua.

Oggi non è più così.

Ci si corica tardissimo la sera perché presi totalmente da televisione, social network, computer, smartphone.

Si lavora molto più d’inverno che d’estate, allontanandoci sempre di più dal tipo di energia cosmica di tali stagioni.

Ci nutriamo con cibo spazzatura, tossico a causa del suo bassissimo valore nutrizionale e all'elevato contenuto di grassi o zuccheri. Cibi di norma preparati industrialmente, ricchi in grassi saturi, sale e zuccheri raffinati e completamente carenti di tutti quegli elementi invece contenuti nei cibi naturali.

E non è finita qua; è in dirittura d’arrivo la “superpillola” che in una semplice capsula di origine chimica ci fornirà tutto ciò di cui abbiamo bisogno per sopravvivere: calorie, carboidrati, proteine, vitamine e grassi.

Una scienza straordinaria quella chimica, che studia la composizione della materia e il suo comportamento relativamente alla sua composizione e che ha consentito la scoperta di molecole di grandissima importanza per la vita di ciascuno di noi. Senza la chimica molti di noi oggi non sarebbero in vita.

Ma l’altro lato della stessa medaglia è rappresentato dal fatto che la chimica, entrando prepotentemente nella nostra vita e nei nostri organismi, rappresenta anche uno di quegli elementi che ci ha portato ad allontanarci sempre più dalla via della natura.

Partendo dai cibi che quotidianamente ingeriamo e proseguendo con i farmaci, di cui tante persone oggi fanno un uso smodato e assolutamente ingiustificato (la stessa cosa vale per tanti “rimedi verdi”) possiamo affermare che la stragrande maggioranza di ciò che introduciamo contiene elementi chimici ed è diventato un’eccezione introdurre nel nostro corpo elementi naturali.

Di tutto ciò, per lo meno nell’immediato, non ci accorgiamo delle conseguenze che ci saranno.

Ma nel medio lungo periodo, tutta questa chimica fatta entrare costantemente dentro il nostro organismo, con grandi probabilità produrrà qualche danno. Somministrare ogni giorno ad una persona qualcosa che non fa parte della sua natura non è sicuramente una pratica di benessere e con ogni probabilità andrà a perturbare e perché no a modificare il nostro patrimonio genetico, portando i nostri geni a ribellarsi e magari ad impazzire

La concezione moderna del rapporto uomo-natura la ritroviamo anche nel pensiero scientifico, che ci ha dato l’illusione di poter gestire, controllare e dominare totalmente la natura, riducendola ad un elemento da sfruttare ai soli fini economico-commerciali.

Quando pensiamo alla natura la immaginiamo come una sorta di libro già letto che possiamo tenere chiuso, a fare bella vista nella nostra libreria.

Un libro antico, pieno di insegnamenti di cui possiamo tranquillamente fare a meno, perché noi oggi sappiamo già tutto.

Non ci rendiamo però conto che perdendo il contato con la natura, è un po’ come se avessimo perso il contatto con la nostra natura, con noi stessi, con nostra madre (madre terra), ed è come se fossimo convinti che un’automobile possa procedere anche senza volante, o un’imbarcazione senza timone, cose piuttosto complicate.

Se proviamo a considerare la nostra mente, il nostro cervello, come il seme della nostra pianta, la cellula primordiale da cui tutto nasce e si costruisce nel tempo, ci troveremo di fronte ad un’evidente analogia cervello-natura.

E con ogni probabilità, ci accorgeremo che l’atteggiamento mentale che abbiamo sviluppato nei confronti della natura troverà piena corrispondenza nel modo in cui stiamo sviluppando e plasmando il nostro cervello moderno.

Pertanto, anche il cervello dell’uomo moderno, sarà un cervello che si svilupperà allontanandosi sempre di più da quella che era la sua natura, dalle sue origini, dalle sue radici.

E siamo proprio noi a volere tutto ciò, esattamente come abbiamo scientemente deciso di allontanarci dal mondo della natura.

Recenti studi di neuroscienze sul cervello hanno messo in luce che diversamente a quello che si pensava fino a qualche decina di anni fa il cervello non è una struttura rigida, a compartimenti stagni (non è una sorta di computer) ma si è dimostrato essere una struttura molto plastica, in continuo cambiamento.

Lo possiamo infatti paragonare ad uno di quei giochi con cui i bambini possono sviluppare i tipi di costruzioni che preferiscono, dandogli una forma piuttosto che un’altra in base al modo in cui decidono di assemblare i vari pezzi a loro disposizione. Strutture che è possibile montare, smontare e rimontare ogni qualvolta lo si voglia.

Al nostro cervello possiamo quindi dare lo schema che noi vogliamo, esattamente come avviene in natura quando il contadino attraverso l’aratro smuove il terreno e lo prepara per una nuova lavorazione diversa da quella precedente.

Le tracce neuronali del cervello si ridisegnano in continuazione a seconda dei nostri schemi mentali, e quindi possiamo costruire il nostro cervello in un modo piuttosto che in un altro.

E il modo in cui l’uomo moderno sta rimodellando il proprio cervello, allontanandosi sempre più dalla propria natura, fa pensare ad una pianta che vuole crescere e svilupparsi in un luogo lontano dalle proprie radici. Ma questo non è possibile. Nulla di tutto ciò avviene in natura, tranne che nel mondo umano.

Così come in natura non esiste una pianta di ottant’anni anni che ne dimostra quaranta, mentre per l’uomo, grazie alla chirurgia estetica questo è diventato quasi una regola, alla quale chi non vi si attiene non è degno di stima sociale.

Non accettiamo più la nostra natura, che prevede di invecchiare, dal momento che l’invecchiamento è un processo naturale. In natura un frutto nasce, si sviluppa, matura e poi o viene mangiato o con il tempo si deteriora e muore. Ma per noi queste regole della natura non valgono più.

Così come non accettiamo più tutte quelle emozioni che sono connotate nella natura stessa dell’uomo.

Basti pensare a come oggi vengano considerate a livello sociale manifestazioni quali la rabbia, l’aggressività, la paura, mentre noi vorremmo solo la dolcezza, la calma, il coraggio.

Ma le emozioni esistono tutte. Sono manifestazioni naturali e persino necessarie.

Sono energie, forze, presenti dentro di noi, che devono mantenersi in equilibrio, che ci devono essere. La parola “aggressività” deriva da “adgredior” che significa avvicinarsi, andare verso, andarsi a prendere quello che ci spetta, quello che ci fa sopravvivere, e quindi di per sè non la possiamo considerare una manifestazione negativa, ma anzi, necessaria per la sopravvivenza. In natura esistono i leoni e gli agnelli, i lupi e le galline, le prede e i predatori, e quindi, tutto quello che c’è e che è stato creato ci deve stare.

Basterebbe osservare i nostri amici a quattro zampe che vivono nelle nostre case.

Un cane non imita quello che fa il gatto, ma segue la sua natura, e fa il cane.

Così come una piantina di pomodoro farà nascere dei pomodori e non delle albicocche.

Siamo solo noi che pensiamo di vivere all’interno di un grande allevamento artificiale dove possiamo diventare quello che non siamo, anzi, spesso esattamente l’opposto di quello che sarebbe la nostra natura.

E questo è quello che produce malattia.

Più ci allontaniamo dalla nostra natura, più è lunga la strada che abbiamo creato rispetto al nostro seme, al nostro Sé, più saremo preda di disturbi, disagi, malattie.

Basti pensare a patologie quali l’anoressia e la bulimia che hanno tra le loro cause (ve ne sono tante altre) modelli sociali assolutamente innaturali, come l’idealizzazione delle donne taglia trentotto, per cui se una ragazzina possiede qualche chilo di troppo rispetto a tali modelli, non si sentirà accettata né dal gruppo dei pari né tanto meno dal mondo.

Ecco il perché credo sia giunto il momento di considerare quanto sia importante riaprire quel libro impolverato che abbiamo abbandonato ormai da troppi anni sullo scaffale della nostra libreria. Quel manuale contenente i codici della natura, la mappa del nostro “nature’s path” ovvero del nostro “sentiero della natura”.

La via per raccordarsi con i ritmi della natura e con le sue leggi, riscoprendo il profondo legame che lega tutte le creature in un unico grande essere in una visione realmente olistica

 Filippo Vagli, Docente dell’Accademia di Naturopatia Olistica Anahata è Naturopata diplomato con lode presso Riza, Istituto di Medicina Psicosomatica, Counselor e Life Coach.
Da oltre 25 anni si dedica allo studio, alla ricerca e alla divulgazione della Naturopatia, della Psicosomatica, delle Filosofie Olistiche, delle discipline Bio-Naturali e di relazione di aiuto alla persona.


 
























venerdì 17 agosto 2018

Il Silenzio



Ho pensato di pubblicare alcuni passaggi della mia tesi. Il silenzio e la gestione dello stesso e'sempre stato, per me, argomento di grande riflessione e approfondimento.
Silenzio
C’è una sola via attraverso cui possiamo contattare gli strati più profondi della nostra esistenza, ringiovanire il nostro pensiero raggiungere l’intuizione e il silenzio interiore, bisogna esercitarsi ad ascoltare i propri pensieri. Dopo aver padroneggiato l’ascolto interiore si può procedere all’esercizio fondamentale, quello dell’allenamento al silenzio interiore. "L’Io la fame e l’aggressività”.Così cita F.Perls in uno dei suoi scritti.Parlare di Silenzio è una contraddizione in termini.
Silenzio come assenza o privazione della parola e il silenzio come comunicazione con un mondo altro, rispetto a quello della parola. L. Heilmann distingue tra “tacere” e "silère" dal latino, in cui sostiene che la differenza che caratterizza "sileo" e "taceo" l’uno di fronte all’altro sia da vedere nell’opposizione (valore positivo – valore negativo) tra la coscienza del silenzio come realtà in atto o si crea (sileo=positivo) e la constatazione del silenzio cioè assenza di qualcosa che da esso è negata (taceo= negativo).Con silenzio si intende la relativa o assoluta mancanza di suono o rumore; un ambiente che produce suono inferiore ai 20 decibel viene solitamente considerato silenzioso. In senso figurato, può indicare l’astensione dalla parola e dal dialogo.L’uomo Occidentale e l’uomo Orientale come vivono il silenzio?L’uomo occidentale è disposto ad ascoltare il silenzio?Per fare ciò, occorre che l’uomo occidentale si renda disponibile ad ascoltare, riconoscere e lasciar vibrare l’elemento orientale che è presente dentro di sé con tutte le tensioni che esso implica, tensioni che non occorre tanto risolvere o annullare quanto saper integrare nella propria persona. Il nostro agire quotidiano, possiamo dire che, è generalmente influenzato e condizionato dallo stile di vita sempre più imposto dal tipo di società in cui viviamo. Siamo così profondamente immersi nei riflessi prodotti dalla tecnologia e dal mercato di consumo che producono un rumore di fondo, che rimpiccioliscono e riducono sempre più i confini del tempo e spazio soggettivo. In questo frastuono tele-pubblicitario, l’unico silenzio che ormai si conosce è paradossalmente quello della morte o della rovina, nel caso peggiore è il silenzio della rassegnazione, dell’impotenza, sullo sfondo di un sentimento di annientamento. Quando non vi è realizzazione e pienezza interiore, l’uomo si proietta e cerca rifugio in un attività frenetica che lo mette in costante contatto con un identità provvisoria, ahimè illusoria! Spesso l’uomo occidentale identifica il senso della propria vita e del proprio agire con l’avere, si getta in un attività piena e caotica, per soddisfare i propri bisogni indotti dall’esterno.Per molte ragioni, vi sono popoli o epoche che sono aperte alla dimensione interiore del silenzio.L’uomo orientale, che rimane fedele ed ancorato alle proprie tradizioni, grazie alla sua cultura, è più vicino a questa dimensione dell’uomo occidentale.In effetti l’Oriente percepisce e vive ancora il silenzio come potenza che agisce nella profondità del proprio animo e che è in grado di discernere, riconoscere, sviluppare e proteggere. Esso si pone al centro di ogni struttura della vita e del mondo del soggetto e della società. Gli europei sono molto sconcertati dal Giappone a causa della sua insensibilità apparente al rumore. Ma in realtà questo è frutto di un lavoro interiore. L’uomo orientale acquisisce queste capacità per difendersi da quegli agenti che dall’esterno sono in grado di minacciare la sua struttura. Nella quiete e silenzio trova un profondo sentimento della vita, vi trova uno spazio in cui respira il suo essere essenziale, vi trova un centro che diviene uno col tutto. Non apprende, comunque, a coltivare il silenzio interiore solo per affrontare le traversie della vita, egli ricerca in questa essenza del SE’ stesso la forma di possesso duratura del proprio IO dentro.Il risultato spirituale è più importante del beneficio materiale.

 Nella società dei Nativi Americani esisteva l’educazione al silenzio.
Si insegnava ai bambini a restar seduti immobili e a prenderci gusto. Si insegnava loro a sviluppare l’olfatto, a guardare là dove, apparentemente, non c’era nulla da vedere, e ad ascoltare con attenzione là dove tutto sembrava calmo. Nella società dei Nativi Americani esisteva l’educazione al silenzio.Un bambino che non può star seduto senza muoversi è un bambino sviluppato a metà. Noi respingevamo un comportamento esagerato ed esibizionista poiché lo giudicavamo falso. Un uomo che parlava senza pause era considerato maleducato e distratto. Un discorso non veniva mai iniziato precipitosamente né portato avanti frettolosamente. Nessuno era obbligato a dare una risposta. Il modo cortese di iniziare un discorso era di dedicare un momento di silenzio a una riflessione comune. Anche durante i discorsi facevamo attenzione a ogni pausa, nella quale l’interlocutore rifletteva.Per i Dakota, il silenzio era eloquente. Nella disgrazia come nel dolore, nei torbidi momenti della malattia e della morte, il silenzio era prova di stima e di rispetto. Era così quando capitava qualcosa di grande e degno di ammirazione.”
Il tempo è morto, il silenzio è morto ed anche la nostra società non si sente molto bene.
La vera oppressione è quella invisibile che fa credere di essere padroni della propria individualità, e che invece sceglie per noi. Così fra rumore assordante, chiasso e non più musica, caos, frastuono e non più armonia, chiacchiera ininterrotta e non più dialogo, la scelta del silenzio, non esiste più. ( Carlotta Maria Correra – 31 maggio 2014). E’ un fiume il silenzio, che si ramifica in tutte le possibili forme, per sfociare a delta nel profondo mare dell’interiorità. Vi sono molteplici nature assunte dal silenzio. Questo si compone di infiniti volti ed infiniti corpi. Vi è il silenzio che manifesta riservatezza, vi è il silenzio che minaccia ostilità o che annuncia collera e rancore. Vi è il silenzio che crea ed accresce sensazioni di esasperata ed indicibile intensità, vi è il silenzio che innalza la preghiera ed il silenzio febbrile del dolore e dell’angoscia. Il silenzio in ogni caso è il ricco vuoto che accoglie l’intero ventaglio d’emozioni quiete ed incandescenti, impetuose ed anguste, palpitanti ed inaridite.Il silenzio, secondo Heidegger, è primariamente propedeutico alla comprensione, in quanto permette una partecipazione al dialogo ed in seguito consente l’elaborazione delle parole udite. Una comunicazione, che si realizza in rigetto ininterrotto di parole, è un esclusiva prevaricazione del soggetto che vuole imporsi, per mostrare sé o , meglio, per mostrare quel che si vuol far credere di sé. In tal modo il senso da comprendere è totalmente oscurato, portando al finale, ormai ben noto, della perdita di significato e di essenza della parola. Come anche Dinouart, nel saggio “ L’arte del tacere” afferma che il silenzio è il presupposto del dialogo, in quanto raggiungere uno stato di quiete, nel quale saper ascoltare, è ciò che consente di avvicinarsi alla nostra essenza, ed è qui che nasce la capacità di comunicare, con il mondo ed in particolar modo con noi stessi. Senza dubbio anche nella poesia e nella letteratura il silenzio è d’essenziale importanza. Edgar Lee Masters, riconosceva nel silenzio, la capacità di esprimere l’inesprimibile “Per le cose profonde a cosa serve la parola?”. Ma il silenzio è anche il ponte necessario per raggiungere la dimensione spirituale e dunque per arrivare a Dio. […]  E se nel passato il silenzio, come sopra detto aveva un’ importanza essenziale, oggi la nostra modernità ritiene che in nome dell’evoluzione, si debba rifiutare l’antico, perciò, dopo la morte del tempo annunciata da Montale, vi è stata l’uccisione del silenzio, eliminati entrambi perché strumenti di riflessione interiore. Ed è proprio questo il punto che nell’era della riproducibilità tecnica giungere al genocidio delle sensazioni e delle riflessioni, per conseguire alla riproduzione del sentire, senza alcuna dimensione soggettiva, diventa il traguardo ed inevitabilmente il tramonto della società. Il deserto emotivo e riflessivo procura all’animo umano un’ apparente tranquillità e benessere, perché permette di sfuggire a ciò che di più intenso e di più difficoltoso esista, ossia alla conoscenza di sé e degli altri, ed è in tale aridità che il potere agisce indisturbato. Senza alcun accorgimento il linguaggio stereotipato si impossessa della nostra mente, avanza e distrugge ogni originale riflessione creativa. Soppresso il silenzio, da qualsiasi tipo di rumore martellante, che non è più sottofondo, ma sopraffazione delle nostre vite, è soppressa, di conseguenza la dimensione soggettiva d’emotività e di riflessione, l’oggetto del pensiero di massa è strettamente legato al suo carattere di prodotto industriale e al suo ritmo di consumo quotidiano.[…].

Sono solo alcuni spunti di riflessione estrapolati anche da articoli pubblicati su quanto e come possa essere importante conoscere i diversi significati della parola SILENZIO.

Maria Lucia Devincenzi
Counselor ad indirizzo umanistico.
Operatore Reiki 2° livello.