IL BLOG DI ANAHATA: “NATURE’S PATH”. IL SENTIERO DELLA NATURA PER IL BENESSERE
Di Filippo Vagli
Negli ultimi anni l’uomo si è sempre più allontanato dalla natura.
Fino a qualche decennio fa per ogni uomo era naturale passare diverse
ore del proprio tempo libero passeggiando in un bosco, camminando per i sentieri
di montagna, o trascorrendo giornate all’aria aperta seduto su un prato magari
facendo un bel picnic in compagnia.
Oggi queste esperienze si sono sempre più ridotte ad eventi sporadici,
eccezionali, e tutto questo ci racconta di come il nostro rapporto con la
natura si stia sempre più perdendo.
Senza ombra di dubbio, il progresso e la tecnologia hanno
modificato sostanzialmente il modo di vivere di ognuno di noi, allontanandoci sempre
di più da quelle che sono le nostre origini e quindi affievolendo lo
strettissimo legame che fin da sempre ha unito l’uomo con l’ambiente naturale.
Tutto questo ci ha fatto intendere la natura come un elemento residuale,
non indispensabile, un qualcosa di cui possiamo tranquillamente fare a meno,
riducendolo eventualmente a qualche giornata delle nostre vacanze.
Per svariati secoli l’uomo si è però mosso totalmente nei ritmi e
con i ritmi della natura.
Si alzava al nascere del sole e si coricava al suo calare.
Lavorava molto durante la bella stagione e riposava d’inverno.
Si nutriva di quello che la natura gli offriva.
Uomo e natura camminavano insieme, parlavano la stessa lingua.
Oggi non è più così.
Ci si corica tardissimo la sera perché presi totalmente da
televisione, social network, computer, smartphone.
Si lavora molto più d’inverno che d’estate, allontanandoci sempre
di più dal tipo di energia cosmica di tali stagioni.
Ci nutriamo con cibo spazzatura, tossico a causa del suo
bassissimo valore nutrizionale e all'elevato contenuto di grassi o zuccheri.
Cibi di norma preparati industrialmente, ricchi in grassi saturi, sale e
zuccheri raffinati e completamente carenti di tutti quegli elementi invece
contenuti nei cibi naturali.
E non è finita qua; è in dirittura d’arrivo la “superpillola” che
in una semplice capsula di origine chimica ci fornirà tutto ciò di cui abbiamo
bisogno per sopravvivere: calorie, carboidrati, proteine, vitamine e grassi.
Una scienza straordinaria quella chimica, che studia la
composizione della materia e il suo comportamento relativamente alla sua
composizione e che ha consentito la scoperta di molecole di grandissima
importanza per la vita di ciascuno di noi. Senza la chimica molti di noi oggi
non sarebbero in vita.
Ma l’altro lato della stessa medaglia è rappresentato dal fatto
che la chimica, entrando prepotentemente nella nostra vita e nei nostri
organismi, rappresenta anche uno di quegli elementi che ci ha portato ad
allontanarci sempre più dalla via della natura.
Partendo dai cibi che quotidianamente ingeriamo e proseguendo con
i farmaci, di cui tante persone oggi fanno un uso smodato e assolutamente
ingiustificato (la stessa cosa vale per tanti “rimedi verdi”) possiamo
affermare che la stragrande maggioranza di ciò che introduciamo contiene
elementi chimici ed è diventato un’eccezione introdurre nel nostro corpo
elementi naturali.
Di tutto ciò, per lo meno nell’immediato,
non ci accorgiamo delle conseguenze che ci saranno.
Ma nel medio lungo
periodo, tutta questa chimica fatta entrare costantemente dentro il nostro
organismo, con grandi probabilità produrrà qualche danno. Somministrare ogni
giorno ad una persona qualcosa che non fa parte della sua natura non è
sicuramente una pratica di benessere e con ogni probabilità andrà a perturbare
e perché no a modificare il nostro patrimonio genetico, portando i nostri geni
a ribellarsi e magari ad impazzire
La concezione moderna del rapporto uomo-natura la ritroviamo anche
nel pensiero scientifico, che ci ha dato l’illusione di poter gestire, controllare
e dominare totalmente la natura, riducendola ad un elemento da sfruttare ai
soli fini economico-commerciali.
Quando pensiamo alla natura la immaginiamo come una sorta di libro
già letto che possiamo tenere chiuso, a fare bella vista nella nostra libreria.
Un libro antico, pieno di insegnamenti di cui possiamo
tranquillamente fare a meno, perché noi oggi sappiamo già tutto.
Non ci rendiamo però conto che perdendo il contato con la natura,
è un po’ come se avessimo perso il contatto con la nostra natura, con noi
stessi, con nostra madre (madre terra), ed è come se fossimo convinti che
un’automobile possa procedere anche senza volante, o un’imbarcazione senza
timone, cose piuttosto complicate.
Se proviamo a considerare la nostra mente, il nostro cervello,
come il seme della nostra pianta, la cellula primordiale da cui tutto nasce e si
costruisce nel tempo, ci troveremo di fronte ad un’evidente analogia
cervello-natura.
E con ogni probabilità, ci accorgeremo che l’atteggiamento mentale
che abbiamo sviluppato nei confronti della natura troverà piena corrispondenza nel
modo in cui stiamo sviluppando e plasmando il nostro cervello moderno.
Pertanto, anche il cervello dell’uomo moderno, sarà un cervello che
si svilupperà allontanandosi sempre di più da quella che era la sua natura,
dalle sue origini, dalle sue radici.
E siamo proprio noi a
volere tutto ciò, esattamente come abbiamo scientemente deciso di allontanarci
dal mondo della natura.
Recenti studi di
neuroscienze sul cervello hanno messo in luce che diversamente a quello che si
pensava fino a qualche decina di anni fa il cervello non è una struttura
rigida, a compartimenti stagni (non è una sorta di computer) ma si è dimostrato
essere una struttura molto plastica, in continuo cambiamento.
Lo possiamo infatti paragonare
ad uno di quei giochi con cui i bambini possono sviluppare i tipi di
costruzioni che preferiscono, dandogli una forma piuttosto che un’altra in base
al modo in cui decidono di assemblare i vari pezzi a loro disposizione.
Strutture che è possibile montare, smontare e rimontare ogni qualvolta lo si
voglia.
Al nostro cervello
possiamo quindi dare lo schema che noi vogliamo, esattamente come avviene in
natura quando il contadino attraverso l’aratro smuove il terreno e lo prepara
per una nuova lavorazione diversa da quella precedente.
Le tracce neuronali del
cervello si ridisegnano in continuazione a seconda dei nostri schemi mentali, e
quindi possiamo costruire il nostro cervello in un modo piuttosto che in un
altro.
E il modo in cui l’uomo
moderno sta rimodellando il proprio cervello, allontanandosi sempre più dalla
propria natura, fa pensare ad una pianta che vuole crescere e svilupparsi in un
luogo lontano dalle proprie radici. Ma questo non è possibile. Nulla di tutto
ciò avviene in natura, tranne che nel mondo umano.
Così come in natura non esiste una pianta di ottant’anni anni che
ne dimostra quaranta, mentre per l’uomo, grazie alla chirurgia estetica questo
è diventato quasi una regola, alla quale chi non vi si attiene non è degno di
stima sociale.
Non accettiamo più la nostra natura, che prevede di invecchiare,
dal momento che l’invecchiamento è un processo naturale. In natura un frutto
nasce, si sviluppa, matura e poi o viene mangiato o con il tempo si deteriora e
muore. Ma per noi queste regole della natura non valgono più.
Così come non accettiamo
più tutte quelle emozioni che sono connotate nella natura stessa dell’uomo.
Basti pensare a come oggi
vengano considerate a livello sociale manifestazioni quali la rabbia,
l’aggressività, la paura, mentre noi vorremmo solo la dolcezza, la calma, il
coraggio.
Ma le emozioni esistono
tutte. Sono manifestazioni naturali e persino necessarie.
Sono energie, forze,
presenti dentro di noi, che devono mantenersi in equilibrio, che ci devono
essere. La parola “aggressività” deriva da “adgredior” che significa
avvicinarsi, andare verso, andarsi a prendere quello che ci spetta, quello che
ci fa sopravvivere, e quindi di per sè non la possiamo considerare una
manifestazione negativa, ma anzi, necessaria per la sopravvivenza. In natura
esistono i leoni e gli agnelli, i lupi e le galline, le prede e i predatori, e
quindi, tutto quello che c’è e che è stato creato ci deve stare.
Basterebbe osservare i
nostri amici a quattro zampe che vivono nelle nostre case.
Un cane non imita quello
che fa il gatto, ma segue la sua natura, e fa il cane.
Così come una piantina di
pomodoro farà nascere dei pomodori e non delle albicocche.
Siamo solo noi che
pensiamo di vivere all’interno di un grande allevamento artificiale dove
possiamo diventare quello che non siamo, anzi, spesso esattamente l’opposto di
quello che sarebbe la nostra natura.
E questo è quello che
produce malattia.
Più ci allontaniamo dalla
nostra natura, più è lunga la strada che abbiamo creato rispetto al nostro
seme, al nostro Sé, più saremo preda di disturbi, disagi, malattie.
Basti pensare a patologie
quali l’anoressia e la bulimia che hanno tra le loro cause (ve ne sono tante
altre) modelli sociali assolutamente innaturali, come l’idealizzazione delle
donne taglia trentotto, per cui se una ragazzina possiede qualche chilo di
troppo rispetto a tali modelli, non si sentirà accettata né dal gruppo dei pari
né tanto meno dal mondo.
Ecco il perché credo sia
giunto il momento di considerare quanto sia importante riaprire quel libro
impolverato che abbiamo abbandonato ormai da troppi anni sullo scaffale della
nostra libreria. Quel manuale contenente i codici della natura, la mappa del
nostro “nature’s path” ovvero del nostro “sentiero della natura”.
La via per raccordarsi con
i ritmi della natura e con le sue leggi, riscoprendo il profondo legame che
lega tutte le creature in un unico grande essere in una visione realmente
olistica
Filippo Vagli, Docente dell’Accademia di Naturopatia
Olistica Anahata è Naturopata diplomato con lode presso Riza, Istituto di
Medicina Psicosomatica, Counselor e Life Coach.
Da oltre 25 anni si dedica allo studio, alla ricerca e alla divulgazione
della Naturopatia, della Psicosomatica, delle Filosofie Olistiche, delle
discipline Bio-Naturali e di relazione di aiuto alla persona.